Mossa a sorpresa nella Repubblica d’Irlanda: il premier Leo Varadkar ha annunciato le proprie dimissioni. La notizia è arrivata al termine di una conferenza stampa. Medico di professione, il leader liberal conservatore che guida il partito Fine Gael ha giustificato la propria decisione con la necessità di un ricambio, oltre che con motivazioni professionali: “Le mie ragioni sono sia politiche che personali“, ha dichiarato l’esponente politico 45enne, che nel 2017 fu eletto una prima volta diventando il primo “Taoiseach” (capo di governo in lingua gaelica irlandese) omosessuale nella storia del Paese, nonché il più giovane del Paese.
Rimasto in carica fino al 2020, Varadkar si è poi diviso fra attività politica (con altri ruoli di governo) e un ritorno part-time alla professione medica durante la pandemia di Covid. Per poi tornare quindi alla guida dell’esecutivo nel 2022, nell’ambito della staffetta fra le posizioni di premier e vicepremier con MIcheal Martin, leader dei tradizionali rivali in seno al centrodestra irlandese. Le sue dimissioni di oggi non dovrebbero significare automaticamente un ritorno alle urne. Il governo che guidava, infatti, si regge sui voti di una coalizione di tre partiti (ovvero il Fianna Fail e i Verdi, oltre il Fine Gael): Varadkar dovrebbe essere sostituito adesso con un nuovo leader interno.
“Alcuni in posizioni di leadership sanno quando arriva il momento di passare il testimone ad altri e hanno il coraggio di farlo – ha dichiarato il premier dimissionario in conferenza stampa -.Il momento è arrivato. Rassegno le dimissioni da Presidente e leader del Fine Gael e da Taoiseach non appena il mio successore sarà in grado di assumere la carica.”. Soltanto lo scorso 8 marzo erano stati clamorosamente bocciati in Irlanda due referendum con due emendamenti alla Costituzione del 1937 introdotti dal governo: nelle sue intenzioni, si voleva intervenire sulla formulazione dell’articolo 41 sul ruolo delle donne in casa e sulla definizione di famiglia come unità basata sul matrimonio.
Era rimasto quindi invariato la parte del documento che faceva riferimento al matrimonio come “base su cui si fonda la famiglia” e anche quello che riconosce il beneficio nazionale fornito dalle donne sposate nell’ambito della vita domestica e che sosteneva che le donne possono non andare a lavorare se questo “va contro i loro doveri domestici” . Un linguaggio che era stato ritenuto “sessista” e “obsoleto” dallo stesso governo di Dublino che per primo aveva dato il proprio sostegno ai due quesiti referendari. Il 67% di chi aveva votato respinse l’emendamento sulla famiglia (solo il 32% aveva votato in favore) e il 74% quello sulla cura, contro il 24% di voti positivi. L’affluenza alle urne era stata solo del 44%.
E così, dopo aver accettato l’aborto e il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ci si aspettava che la moderna società irlandese, sebbene da sempre fondamentalmente cattolica, fosse preparata ad estendere il significato di matrimonio anche alle unioni di fatto e alle comunità Lgbt e a riconoscere a tutti i membri della famiglia, anziché alle sole donne, il dovere dell’assistenza. Invece, proprio nel giorno della Festa delle Donne, i cittadini dell’isola verde hanno deciso che gli articoli di quella Costituzione. Ora – dopo l’addio al sogno costituzionale inclusivo del “matrimonio queer” e una volta completati i festeggiamenti di San Patrizio – è stata anche la volta dell’addio al governo di Varadkar.