– Vladimir Putin stravince il plebiscito. E lo sapevamo. I commenti li leggerete altrove, tanto sono già stati scritti e riscritti. Qui vorrei sottolineare solo un dettaglio che riguarda più i media occidentali che lo Zar di tutte le Russie. Domanda: ma Putin non doveva essere impazzito, quasi morto di tumore o prossimo a ritrovarsi alla guida di un Paese devastato dalle sanzioni?
– Molto interessante l’intervista che Repubblica realizza a tal Denis Volkov, direttore del Centro Levada, famoso per essere l’unico istituto di sondaggi indipendente in Russia. Mentre l’Occidente parla di elezioni “né libere né giuste”, mentre grande spazio viene dato alla minoranza dissidente (tutto giusto, sia chiaro), anche le ricerche sociologiche indipendenti confermano che la fiducia in Putin è reale. Insomma: di sicuro il processo elettorale non è “sereno”, di sicuro i concorrenti sono fantocci, di certo opera la repressione. Però “non c’è dubbio che il consenso per il presidente Putin sia intorno all’80%”, dato in crescita da quando la Russia è entrata in guerra contro l’Ucraina. È un fatto di cui tenere conto.
– Semmai, le elezioni di Putin, più che confermare la popolarità dello Zar in Russia, certificano il fallimento totale della strategia sanzionatoria occidentale. Vi ricordate forse le dichiarazioni dei leader europei e americani sulla potenza di fuoco delle sanzioni? E gli articoli di giornale? Ursula von der Leyen, aprile 2022: “Il default della Russia è questione di tempo” (aspettiamo ancora). Linkiesta, aprile 2023: “L’economia della Russia di Putin sta andando in rovina molto velocemente. Le casse sono già vuote e presto Mosca esaurirà le risorse per acquistare materiale bellico” (s’è visto). Draghi, settembre 2022: “Le sanzioni hanno avuto un effetto dirompente sulla Russia” (ciao core). Ne ho pescate un po’ a caso, ma sarebbero ben più numerose. E infatti sempre Volkov sostiene che in realtà le sanzioni hanno finito col favorire Putin: ”C’è persino gente che pensava sin dall’inizio che fossero un bene, perché dopo anni di dipendenza dallOccidente il governo avrebbe finalmente investito in infrastrutture e industrie nazionali”.
– Da leggere l’intervista a Ludmila Ulitskaya, grande autrice russa, fuggita da Mosca e messa al bando dal regime. Non solo non crede a un risveglio della Russia secondo i desiderata occidentali, che appoggiano dissidenti dal peso politico ancora troppo ristretto. Ma ritiene che Putin sia “il presidente che il Paese si merita: né peggiore né migliore”. Insomma: la Russia è questa cosa qui, che piaccia oppure no.
– Un calciatore di colore, Juan Jesus, accusa Acerbi di averlo insultato con un epiteto razzista. In sintesi: “negro”. Il diretto interessato nega. A chi credere? Ma soprattutto: se Acerbi sostiene di non aver utilizzato la parola incriminata (“Non ho detto nessuna frase razzista”), perché la Nazionale lo caccia dal ritiro? A pensarci bene è in perfetto stile italiano: non serve mai accertare le prove o aspettare una sentenza, basta l’accusa per ritrovarsi nella melma. Ad oggi la parola di Juan Jesus vale più di quella di Acerbi. Neppure nei regimi.
– Gli ultimi cinque Sanremo sono stati il festival del femminismo e del perbenismo politicamente corretto. Basti pensare alla celebrazione della donna con Chiara Ferragni o al monologo di Paola Egonu, tutto santificato dal sacerdote Amadeus. Per questo sorrido nel rivedere le immagini del Festivalbar del ’96 e notare quella manina birichina di Amadeus che va a toccare il sedere di Alessia Marcuzzi la quale, dalla reazione, non sembrava approvare la palpatina. Anche se fosse stata una scenetta, e non credo lo fosse, il messaggio inviato al telespettatore cozza un po’ col rispetto del corpo femminile oggi tanto decantato nei festival del Ciuri. Ah, l’ipocrisia
– Sul caso di Pioltello, dove una scuola ha scelto di chiudere i battenti per festeggiare il Ramadan oltre che la Pasqua cristiana, occorre fare due riflessioni e denunciare una immonda contraddizione.
1) La decisione del preside non può sorprendere se si tiene conto che l’istituto in questione, anziché intitolarlo a un Carducci qualsiasi, è stato dedicato a Iqbal Masiq, bimbo pachistano simbolo della lotta alla schiavitù minorile. Storia rispettabile, ovviamente, ma che con l’talia non c’azzecca un fico secco. Se un Paese nell’hinterland milanese raccoglie il 20% di popolazione immigrata e se il 40% dei bambini della scuola è mussulmano, forse dovremmo riflettere sul dramma di un processo che sta trasformando intere periferie (spesso degradate) in enclave dove le comunità si escludono, anziché integrarsi.
2) Se la questione è pratica, come sostiene il preside, visto che le classi rischiavano di restare vuote, viene da chiedersi se l’istituto abbia considerato il “risvolto pratico” per le famiglie cristiane, ateee o per le altre 98 etnie presenti sul territorio di Pioltello. Cosa faranno quel giorno di scuola chiusa? Chi vigilerà sui figli? Quante mamme o papà dovranno restare a casa dal lavoro o assumere una baby sitter? Che poi, dal punto di vista pratico, sarebbe bastato lasciare tutto com’è, riconoscere l’assenza giustificata ai bimbi in festa per il Ramadan e immaginare attività parallele per i bambini a classe. Non sarebbe stato neppure necessario iniziare un giorno prima l’anno scolastico, come invece è successo.
3) In Occidente viviamo un enorme paradosso. In nome della laicità e del rispetto del prossimo abbiamo cancellato buona parte delle nostre tradizioni: c’è chi chiama il Natale “festa di inverno”, chi vorrebbe sbianchettare la Cappella Sistina perché simbolo di bianchizzazione o patriarcale, chi toglie crocifissi, chi sfoggia presepi di dubbio gusto. Non ha senso, perché risulta contraddittorio, “includere” le festività musulmane a Pioltello se nello stesso giorno a Bagno di Romagna una scuola impedisce a un parroco di andare a benedire un plesso scolastico. Cancellare i propri valori per acquisire quelli altrui non è integrazione, è idiozia.