Il campo largo doveva essere l’alternativa al centrodestra. Eppure sta facendo litigare tutti. Elly Schlein e i riformisti dem. La segretaria del Pd e Carlo Calenda. Quest’ultimo e Giuseppe Conte. Ma il perimetro impossibile delle alleanze tra i progressisti sta spaccando anche il M5s. Conte sta nel mezzo tra i filo-Pd e gli autonomisti. Ma soprattutto tra i suoi guru preferiti. A mezz’aria tra i consiglieri che ascolta di più. Parliamo di Marco Travaglio e Rocco Casalino. Il primo, dopo il flop dell’Abruzzo, ha virato su una linea ortodossa e isolazionista. Il secondo, insieme al grosso del gruppo parlamentare, è lo stratega di un’alleanza organica con il Pd. «Conte si smarcherà sempre più dal Pd, basta leggere il Fatto Quotidiano e stare a sentire quello che dice Travaglio in tv», ammette un deputato dei Cinque Stelle vicino all’avvocato di Volturara Appula. Nel M5s raccontano un episodio, esemplificativo dello scollamento tra l’anima movimentista dei pentastellati, incarnata dal quotidiano di Travaglio, e i settori affezionati allo schema giallorosso, anzi all’«alleanza semaforo». Pd, M5s e Alleanza Verdi e Sinistra. È la sera di martedì 12 marzo. Il direttore del Fatto è ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo. Il giornalista invoca il ritorno al proporzionale, per permettere al M5s di esprimersi al meglio, libero dalle catene delle coalizioni. Travaglio si altera: «Gli elettori questa sbobba non la vogliono!». Casalino guarda la televisione e salta dalla sedia. Il quotidiano di riferimento di Conte sta sabotando la strategia della comunicazione stellata, attenta a non rompere con Schlein, «perché è chiaro che non siamo autosufficienti». Il direttore e lo spin doctor ne discutono polemicamente anche al telefono.
Il confronto tra le opposte visioni di Casalino e Travaglio è solo un aneddoto rivelatore di una faglia più ampia. Potenzialmente distruttiva per la leadership di Conte, soprattutto in caso di un probabile flop del M5s alle elezioni europee di giugno. Come ai tempi della faida tra l’ex premier e Luigi Di Maio, stanno rinascendo le correnti tra i Cinque Stelle. Ci sono i filo-Pd e gli isolazionisti. I primi hanno il loro leader nell’ex presidente della Camera Roberto Fico. Fico vuole coltivare il rapporto con Schlein in vista delle elezioni regionali in Campania del 2025. Il grillino ambisce a essere candidato governatore, con l’appoggio del Pd. Ma ha bisogno di una deroga alla regola dei due mandati. Una battaglia che si intreccia con quella sul campo largo. I filo-dem puntano alla normalizzazione del M5s per arrivare a rinnegare l’ultimo principio delle origini. Con Fico ci sono il capogruppo al Senato Stefano Patuanelli e la presidente sarda Alessandra Todde, insieme alla maggioranza dei parlamentari. Dall’altro lato gli ortodossi, che sperano nell’aiuto di Beppe Grillo. I capofila degli anti-Schlein sono Virginia Raggi e l’ex Alessandro Di Battista, pronto a tornare in campo. Scettica sul Pd anche Chiara Appendino. E c’è pure Danilo Toninelli, nonostante a parole si sia detto possibilista sul campo largo. Conte sta nel mezzo, tra Casalino e Travaglio.