Gli ayatollah potrebbero pagare caro il loro sostegno a Vladimir Putin. In una dichiarazione congiunta, i leader del G7 hanno affermato che “se l’Iran dovesse procedere alla fornitura di missili balistici o tecnologie correlate alla Russia, siamo pronti a rispondere rapidamente e in modo coordinato, anche con nuove e significative misure contro l’Iran”.
“Siamo estremamente preoccupati per le notizie secondo cui l’Iran sta valutando la possibilità di trasferire missili balistici e relativa tecnologia alla Russia”, si legge nel documento, in cui si chiede alla Repubblica islamica di rivedere la sua decisione poiché essa “contribuirebbe alla destabilizzazione regionale e rappresenterebbe una sostanziale escalation materiale nel suo sostegno alla guerra della Russia in Ucraina”. Un’aggressione illegale e in aperta violazione del diritto internazionale, quella ordinata da Putin nel febbraio del 2022, che ha portato ad un conflitto di cui ad oggi ancora non si vede la fine.
Già pochi mesi dopo l’inizio delle ostilità, Teheran ha iniziato a fornire il proprio supporto alle truppe della Federazione inviando allo zar centinaia di droni kamikaze Shahed che, come scritto nella dichiarazione congiunta del G7, “vengono utilizzati in incessanti attacchi contro la popolazione civile in Ucraina”. Si tratta di velivoli poco sofisticati, capaci di trasportare testate esplosive di piccole dimensioni e utilizzati in “sciami” per saturare le difese aeree di Kiev. Una tattica, questa, che la Russia ha iniziato ad impiegare viste le capacità dei sistemi occidentali di intercettare la stragrande maggioranza dei vettori lanciati contro le città del Paese invaso.
Gli ayatollah non sono comunque gli unici a dare il proprio sostegno allo zar. La Corea del Nord ha fornito all’esercito della Federazione migliaia di proiettili di artiglieria e vi è la possibilità, mai confermata con assoluta certezza, che la Cina abbia inviato componenti elettronici. Un aiuto fondamentale, questo, nelle prime fasi dello sforzo bellico di Putin. Ad oggi, però, il Cremlino ha fatto confluire sempre più risorse nel settore della difesa, rendendola la prima industria del Paese e superando la produzione annuale di tutto l’Occidente per quanto riguarda le munizioni per i cannoni che martellano giornalmente le difese ucraine. Secondo l’intelligence della Nato, gli impiegati nelle fabbriche di materiale bellico sono aumentati di circa un milione, lavorano sette giorni su sette e con turni da 12 ore per combattere questa “guerra di produzione”.