Si parla del 2004 e Renault si presentò al Salone di Ginevra con la controversa concept car Wind. Si trattava di una compatta e intrigante roadster 2+1 dalle dimensioni simili a quelle della Clio, sebbene in realtà strizzasse maggiormente l’occhio alle già note cabrio giapponesi. Originale, accessibile e impattante. Talmente fuori dagli schemi da sembrare un vero e proprio prodotto pronto per la produzione, con linee e soluzioni verosimili, pensate per l’imminente realizzazione in serie. La stampa e il settore accolsero con grande entusiasmo questa nuova proposta francese, con l’auspicio di ridare vigore al mondo delle cabrio accessibili, un segmento ancora in voga per quegli anni. Tuttavia, il destino riservò un futuro decisamente diverso per la piccola Wind che, in realtà, non vide mai la luce – se non con fisionomie differenti, lontane dal concept iniziale.
Renault Wind Concept, la storia
L’idea di una piccola vettura a cielo aperto iniziò a balenare ai piani alti di Renault sul finire del 2002, per restituire maggior sportività al brand, cercando di entrare in quella nicchia (seppur ancora viva) delle cabrio accessibili e compatte. SI trattava di un esercizio ancora sconosciuto al marchio della losanga, così Renault decise di portare avanti la propria idea di sportiva economica. Basata sulla rivisitazione della piattaforma di Renault Twingo di quegli anni, propose un design futuristico, moderno, cercato a voluto dal capo design Laurens Van Den Acker, con spunti chiaramente ripresi da altre concept proposte in quel periodo storico (in particolare Vel Satis e Talisman Concept). Colpì soprattutto per la semplicità e chiarezza delle linee, al tempo stesso giovanili ma anche seriose e sportive. Solo 3,87 m di lunghezza per 1,75 m di larghezza. Il peso non fu mai comunicato in via ufficiale, ma si parla di un valore compreso tra 800 e 900 kg.
Dopo poche ore dal debutto al Salone di Ginevra 2004, si creò una calca attorno al prototipo, capace di proporre alcune soluzioni ultra moderne per quel periodo storico, come la fanaleria a “led” (con una tecnica estreammente complessa, poi evolutasi nel moderno concetto di LED) o la semplicità del design: contrariamente ai canoni estetici del tempo, il frontale era privo di plastiche o elementi scuri a vista, largamente impiegati per i veicoli di serie. Davvero ben realizzate anche le proporzioni, da tipica sportiva con un cofano lungo e affusolato e l’abitacolo tutto spostato sull’asse posteriore, come voleva la tradizione delle sportive inglesi degli anni ’60 e ’70. L’abitacolo sembrava quasi abbracciato dalla carrozzeria, con luci led anche al posteriore e cerchi in lega cromati e dalle generose dimensioni. Anche l’abitacolo era innovativo, dal chiaro tocco minimale, con pelle e moquette a vista: prende il nome di Touch Design, e anticipa le tendenze attuali, facendo sparire tutti i tasti e i comandi fisici al minimo. Tutto era gestibile dalla strumentazione di fronte al conducente, che era visibile attraverso il volante. Consuetudine oggigiorno, ma innovativo e fuori dagli schemi per quell’era. Non mancava lo spazio tra un sedile e l’altro, come oggi vediamo anche sulle auto elettriche, più dello spazio extra dietro ai due occupanti, per poter inseirire un terzo passeggero o dei bagagli. Tanti i dettagli realizzati in alluminio a vista, dai pedali agli inserti del volante, manifestando tutta l’attenzione al minimo dettaglio riposta dai designer francesi.
Renault Wind, come si è veramente evoluta
Si dovette poi aspettare fino al 2010 prima di vedere un’auto omonima solcare la strada. La Renault Wind definitiva, però, si allontanava notevolmente dalla concept iniziale. L’economia di scala, i costi produttivi, la crisi del 2008-2010 e il nuovo paradigma produttivo degli anni seguenti imposero forti limitazioni alla creatività dei designer. L’auto inizialmente pensata non poteva più coesistere con le necessità del marchio, tuttavia si costruì lo stesso. Della concept conservò la semplicità e la compattezza delle forme. Fu infatti sfruttato il pianale dell’allora Renault Twingo di seconda serie e fu privata della sezione longitudinale del tetto. La scocca fu ovviamente rinforzata e si contemplò anche il reparto sportivo per la realizzazione degli assetti e della messa su strada. Da roadster completa, fu trasformata in una “piccola targa” a 2 posti, con la parte posteriore della carrozzeria raccolta e rialzata fino alla sommità del parabrezza. Il tetto, rigido, poteva essere aprerto tramite un meccanismo semplice e rapido, che ribaltava la sezione all’indietro, nascondendola poi sotto ad una copertura mobile posta sopra al bagagliaio (da 270 litri).
Si trattava comunque di una vettura dall’anima sportiva, con soli 1.100 kg, una lunghezza contenuta di soli 3,83 m e un telaio quasi fedelmente ripreso dalla divertente Twingo RS. Di questa condivideva infatti l’1.6 VVT aspirato da 133 CV e 191 Nm di coppia, con cambio manuale a 5 marce. Le prestazioni erano di tutto rispetto, con 9 secondi per toccare i 100 km/h da ferma e ben 200 km/h di velocità massima. In alternativa fu anche reso disponibile l’1.2 4 cilindri da 100 CV, entrambi comunque particolarmente assetati come motori, con medie di 12/13 km al litro nei migliori dei casi. Non giocarono però a suo favore nè il design (non molto amato) e nemmeno il prezzo, che infatti partiva da una base di circa 18 mila euro – piuttosto elevato se calato nel 2010 – e superava ampiamente i 20 mila euro per la versione con l’1.6.