La polizia ha scoperto un gruppo di persone che condivideva migliaia di file multimediali (video e foto in maggioranza) con contenuto pedopornografico. E una serie di abusi sessuali commessi su bambini anche molto piccoli proprio allo scopo di produrre filmati da postare sul web. Sono state fatte perquisizioni nelle province di Como, Lodi, Monza Brianza, Milano, Pavia e Varese. Sono inoltre stati arrestati quattro persone in flagrante per detenzione di grosse quantità di materiale pedopornografico e un uomo che per anni avrebbe abusato sessualmente di due bambine sue parenti in età preadolescenziale e di una loro amichetta.
Le bambine vittime dell’uomo arrestato erano spesso affidate a lui, che godeva della fiducia dei loro genitori. Gli investigatori hanno raccolto prove che dimostrano che le cinque persone indagate producevano materiale pedopornografico costringendo bambini anche di sette o otto anni a compiere atti sessuali in streaming. Gli agenti specializzati in questo tipo di operazioni durante le perquisizioni hanno ispezionato i telefoni e analizzato le chat. I dispositivi usati dagli indagati sono stati sequestrati.
Le perquisizioni informatiche hanno fatto emergere molti dettagli sul coinvolgimento degli arrestati nella condivisione online di video che mostrano abusi sessuali su bambini in tenera età, anche neonati. L’indagine è stata svolta dal Centro operativo per la sicurezza cibernetica di Milano e coordinata dalla Procura. È partita da una iniziativa del Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia online (Cncpo) del Servizio polizia postale e delle comunicazioni dopo una segnalazione nell’ambito della cooperazione internazionale di polizia che denunciava utenti italiani coinvolti nella detenzione e diffusione di materiale pedopornografico su un noto social network.
La polizia postale di Milano ha analizzato oltre 117mila connessioni, riuscendo a identificare 26 persone, di cui cinque con precedenti penali per fatti simili. Queste ultime per restare anonime avevano creato i profili social utilizzati per commettere i reati utilizzando caselle di posta elettronica aperte con dati fittizi e accedendo a internet attraverso reti Wi-Fi «aperte» o connessioni intestate ad altri. I file multimediali con contenuto pedopornografico trovati nei dispositivi informatici usati dalle persone coinvolte sono migliaia.