Terzo mandato consecutivo per i presidenti di Regione e ballottaggio solo sotto quota 40% al primo turno per i candidati sindaci dei comuni con più di 15mila abitanti. Sono questi i due emendamenti depositati dalla Lega al decreto Elezioni che è stato all’esame dell’Aula del Senato della Repubblica questo pomeriggio. Tuttavia, nessuna delle due proposte è passata. Su quest’ultimo, si sarebbe andato quindi a modificare il sistema elettorale previsto dal Tuel con il quale si stabilisce che viene “proclamato eletto sindaco il candidato alla carica che ottiene la maggioranza assoluta dei voti validi” e che riprende un tema che era già stato affrontato circa un anno fa durante l’iter di altri provvedimenti. La Lega punta così a cambiare l’articolo 72 del testo unico sugli enti locali, stabilendo che è proclamato “eletto sindaco il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi“. Qualora due candidati abbiano entrambi conseguito un risultato pari o superiore al 40 per cento dei voti validi, “è proclamato eletto sindaco il candidato che abbia conseguito il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto sindaco il candidato collegato con la lista o con il gruppo di liste per l’elezione del consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva“.
Contro questa mossa ha tuonato il Partito Democratico: “La Lega si fermi, il blitz sulla cancellazione dei ballottaggi a tre mesi dal voto è uno sfregio alle più basilari regole democratiche“, afferma Elly Schlein. Intervenendo nell’emiciclo, Alberto Balboni (Fratelli d’Italia), presidente della Commissione Affari costituzionali, afferma: “Sul tema del ballottaggio nel merito sono d’accordo, non credo sia un attentato alla Costituzione, e spiace che alcuni colleghi abbiano definito vergognoso l’esercizio di legittima facoltà da parte di un gruppo“, dice aggiungendo:”Discorso diverso è quello sull’opportunità di inserirlo in questa sede perché un intervento così rilevante avrebbe avuto bisogno di maggior approfondimento e confronto. Per cui anticipo che la mia richiesta sarà di un ritiro e di, eventualmente, trasformarlo in ordine del giorno“. Il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, accoglie la domanda di FdI: niente votazione su questo emendamento.
L’altro emendamenteo era invece è a firma Tosato, Bizzotto Stefani, Pirovano, Spelgatti: il testo propone di modificare le norme che regolano l’ineleggibilità, consentendo tre mandati di fila per i governatori regionali “con riferimento ai mandati successivi alle elezioni effettuate dopo la data di entrata in vigore delle leggi regionali di attuazione“. Il governo Meloni si rimette alla decisione dell’Assemblea di Palazzo Madama che alla fine boccia questo emendamento con 112 no. Lo stesso esecutivo aveva espresso parere contrario qualche settimana fa in commissione Affari costituzionali, quando l’emendamento proposto dal partito di Matteo Salvini venne sempre respinto. Bocciato in Aula anche, con la stessa votazione, l’emendamento di Italia Viva che era sostanzialmente identico a quello presentato dal Carroccio.
Nella medesima seduta di oggi pomeriggio – e sempre sullo stesso argomento – il Partito Democratico avanzerà un ordine del giorno al dl Elezioni in Senato che dovrebbe impegnare il governo ad avviare, in raccordo con il Parlamento, con la Conferenza delle regioni e con l’Anci, secondo una logica di ampia condivisione e collaborazione, “un percorso di riforma volto a superare le criticità manifestatesi nel corso di questi anni e, più in generale, a migliorare la capacità rappresentativa e di governo di tali fondamentali livelli istituzionali”. In questa sede di affronterebbe anche la “ridefinizione del numero dei mandati consecutivi degli organi di vertice degli enti territoriali, del rafforzamento dei temperamenti di sistema e del ruolo e della funzione delle assemblee elettive“. Il Pd aveva votato contro l’emendamento leghista in commissione (come Fratelli d’Italia, Forza Italia e Movimento 5 Stelle) con la motivazione che doveva ancora aprire una discussione più ampia con gli amministratori dem. In ogni caso, il testo generale del decreto è stato aprovato in Senato: 79 sì, 39 i voti contrari, 6 gli astenuti. Ora passa alla Camera.