Doveva arrivare il riscatto, invece è stato un altro tonfo per Tim. Le precisazioni sul nuovo Piano, pubblicate dalla società ieri mattina, non hanno avuto il riscontro sperato sul mercato: il titolo, infatti, è stato trascinato al ribasso fino al -9% prima di recuperare fino al -4,6% a 0,21 euro per azione. E ora la voragine da mercoledì, ultimo giorno prima della presentazione di «Libera di correre», è del 24% tondo. Non è bastata nemmeno la discesa in campo del ceo Pietro Labriola, che ieri ha acquistato 500mila azioni a un prezzo di 0,2036 euro per un totale di 101.800 euro allo scopo di dimostrare la fiducia che ripone nel suo piano.
La società – con la nota di ieri – ha chiarito che il debito netto pro-forma dopo l’operazione di cessione della rete, pari a circa 6,1 miliardi a fine 2023, è atteso alla fine del 2024 a circa 7,5 miliardi. Quest’anno, infatti, la società continuerà a essere integrata e quindi a bruciare cassa per un mix variegato di componenti ordinari e straordinari tra cui gli oneri sul maxi debito, i costi di scorporo della NetCo, il peso delle uscite incentivate del personale e il pagamento dei dividendi della partecipata Brasiliana. La cassa netta tornerà in pari dal 2025 e passerà in positivo di mezzo miliardo dal 2026.
In casa Tim ora si attenderà il feedback del mercato nelle prossime 48 ore, per poi decidere se avviare un roadshow per chiarire il piano. Ed è sotto esame anche la figura del direttore finanziario, Adrian Calaza, che ha avuto un ruolo centrale nella comunicazione dei dati da divulgare. L’enorme volume di scambi (da giovedì scorso passato di mano il 30% del capitale) infonde sempre più la sensazione che sul titolo stiano manovrando forze che prescindono dalla bontà del piano. La Consob sta indagando senza escludere nessuna ipotesi. Eppure la giornata di ieri ha consegnato nuovi indizi: dopo un’apertura in positivo, il titolo si è improvvisamente inabissato con l’apertura della Borsa di Londra, alle 10 italiane.
Possibile, quindi, che chi sta manovrando sul titolo inserisca i suoi ordini dalla city. Ragionando per ipotesi, oltre a fondi speculativi e al primo socio Vivendi, che avversa la vendita della rete a Kkr, ci potrebbero essere altri ad avere un qualche interesse a screditare l’attuale management. Ed è per questo che, nelle ultime ore, all’interno delle sale operative si fa strada la suggestiva ipotesi che possa avere avuto un ruolo nella partita Merlyn Partners, che di base è a Londra ed è guidata dall’ex Jp Morgan Alessandro Barnaba. La società, insieme all’ex manager di Tim Stefano Siragusa, alla fine dello scorso anno aveva provato a proporre senza successo il piano alternativo «Tim Value», che non prevedeva lo scorporo della rete. E che, peraltro, aveva pure registrato una prima apertura di credito dei soci francesi.
Non ci sono prove, ma di certo Merlyn ha (o ha avuto) una piccola quota in Tim e chissà che non decida di presentare una lista alternativa a quella del cda nell’assemblea degli azionisti del 23 aprile. Secondo lo statuto di Tim, infatti, basta avere una quota dello 0,5% per presentare un lista e i termini scadono il 28 marzo. Ambienti vicini a Vivendi fanno sapere che al momento tutte le ipotesi restano sul tavolo, compreso il deposito di una lista alternativa (più difficile) o l’appoggio di un’eventuale antagonista di Labriola. Le prossime settimane saranno dirimenti.