La neutralità è un lusso troppo caro per i conservatori

La neutralità è un lusso troppo caro per i conservatori

La destra si sta riorganizzando. La maggior parte dei conservatori intelligenti, specialmente i più giovani, che si sono radunati nella mischia politica in un momento di radicale cambiamento ideologico, riconoscono che l’ortodossia della famiglia repubblicana non è più praticabile e che le idee senza potere sono inutili. La destra non ha bisogno di un libro bianco. Ciò di cui ha bisogno è un nuovo attivismo con il coraggio e la determinazione di ridefinire la lingua, riconquistare le istituzioni e riorientare lo stato verso i giusti fini.

Uno degli aspetti da riconsiderare è il mito della «neutralità», perché seguendo una linea libertaria l’establishment conservatore ha sostenuto che il governo, le università statali e le scuole pubbliche dovrebbero essere «neutrali» nel loro approccio agli ideali politici. Ma nessuna istituzione può essere neutrale e qualsiasi autorità istituzionale che miri solo alla neutralità sarà immediatamente catturata da una fazione più impegnata a imporre l’ideologia. In realtà, le università pubbliche, le scuole pubbliche e le altre istituzioni culturali sono state a lungo dominate dalla sinistra. Le idee e i valori conservatori sono stati soppressi, i pensatori conservatori sono stati perseguitati e l’establishment conservatore si è illuso di trovare spazio con impotenti appelli alla neutralità.

Lo slogan popolare secondo cui «i fatti non si preoccupano dei tuoi sentimenti» tradisce quello che avviene quotidianamente. In realtà, i sentimenti prevalgono quasi sempre sui fatti. La ragione è schiava delle passioni. La vita politica si muove sulla narrazione, sull’emozione, sullo scandalo, sulla rabbia, sulla speranza e sulla fede, su sentimenti irrazionali, o almeno subrazionali, che possono essere incanalati, ma mai distrutti dalla ragione. Come ha dimostrato il sociologo Max Weber, più di un secolo fa, la politica non opera, e non può, basarsi solo sui fatti. La vita politica dipende dai valori, non è un’equazione utilitaristica. L’establishment conservatore ha fatto appello al «libero mercato delle idee» e alla convinzione che la «mano invisibile» correggerà organicamente i problemi culturali e politici. Ma la formazione della cultura non procede come la produzione di automobili, e non può essere concepita allo stesso modo. I principali vettori per la trasmissione dei valori la scuola pubblica, l’università pubblica e lo Stato non sono affatto mercati. Sono monopoli gestiti dal governo. La mano che muove la cultura non è «invisibile», ma una mano di ferro rivestita di velluto. Alcuni conservatori credono che sia sufficiente rivendicare i «diritti individuali» e il «governo limitato».

Anch’io sostengo i diritti individuali e sogno un governo meno invasivo, ma la questione politica decisiva riguarda la garanzia di tali diritti. Chi lo farà? E, anche se limitato, qual è il ruolo del governo? Queste sono le questioni che alla fine sono in gioco. Possiamo essere d’accordo con Locke sul fatto che gli esseri umani entrano nella società e istituiscono un governo per garantire i loro diritti naturali alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Ma il XX secolo ha sconvolto questo assetto: lo Stato si è impegnato in un progetto volto a rimodellare la società a propria immagine. Per cento anni, i conservatori hanno tentato, senza riuscirci, di ridurre le dimensioni del governo: in termini di percentuale del Pil, lo stato americano oggi è più grande dello stato comunista cinese, senza alcun segno di inversione di rotta. Il liberalismo del diciannovesimo secolo è morto e non può essere restaurato. I conservatori non possono più accontentarsi di fungere da custodi delle istituzioni dei loro nemici, o da tafani che adottano la postura degli «eterodossi» mentre segnalano alle loro controparti di sinistra che non hanno alcun desiderio di interrompere l’egemonia stabilita.

Piuttosto, la nuova destra ha bisogno di passare dalla politica degli opuscoli alla governance delle istituzioni. Dobbiamo reclutare, riconquistare e sostituire la leadership esistente. Dobbiamo produrre conoscenza e cultura su una scala e uno standard sufficienti per spostare l’equilibrio del potere ideologico. Il pensiero conservatore deve uscire dal ghetto ed entrare nel mainstream. La fama, la vendetta e il potere sono state tutte motivazioni potenti nella vita politica del passato, e lo sono ancora oggi, ma per realizzare la promessa ultima del politico, ci deve essere anche qualcosa di più alto: un telos. Gli uomini moriranno per la verità, la libertà e la felicità, ma non moriranno per l’efficienza, la diversità e l’inclusione. Il modo migliore per contrastare il degrado della vita istituzionale americana è quello di ricordare al pubblico lo scopo fondamentale di quelle istituzioni e di comunicarlo. Qual è lo scopo dell’università? Qual è lo scopo di una scuola? Quale sistema di governo ci guiderà verso la felicità umana? Queste domande provocano dubbi e ansie nell’attuale regime. E non c’è da stupirsi.

L’idea di felicità, correttamente intesa, può essere rivoluzionaria. L’attuale regime ha versato migliaia di miliardi in programmi di welfare, produzione ideologica, ricomposizione familiare e interventi psicoterapeutici, ma gli americani sono più infelici che mai. Esigere di nuovo la felicità l’eudaimonia di Aristotele, la Dichiarazione di Jefferson taglia tutti i nostri dilemmi postmoderni. Gli americani hanno smesso di chiedersi: perché esisto?

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