Condividere la “rivoluzione”, seppur con tutti i distinguo del caso, con una brigatista rossa mai pentita, è troppo. Troppo per chi, come le forze dell’ordine, quella rivoluzione l’ha combattuta e soprattutto per chi, come troppo spesso è accaduto, a causa di quella rivoluzione ha perso la vita. La lettera dei funzionari della polizia indirizzata a Donatella Di Cesare – la professoressa finita al centro delle polemiche dopo il commento “nostalgico” sulla morte della brigatista Barbara Balzerani – è quindi la diretta conseguenza di un’ambiguità che alberga nella gauche nostrana.
La lettera dei funzionari di polizia
Una situazione paradossale, se non pericolosa, che mette in gioco non solo la maturità della sinistra italiana ma dell’intero gioco democratico del nostro Paese. La prima risposta alla filosofa e professoressa dell’Università di Sapienza arriva dalla polizia. Il segretario nazionale dell’Associazione funzionari di polizia, Enzo Marco Letizia, prende carta e penna e lancia un messaggio tanto aspro quanto importante alla Di Cesare. “Gentile professoressa – inizia così la lettera – vogliamo e dobbiamo essere onesti: certi argomenti ci toccano più di altri”. “Parlare di un periodo tragico della storia di questo Paese, quello dei cosiddetti ’anni di piombo’ – premette Letizia – impone a chiunque si avventuri nell’impresa – ma ’a fortiori’ agli attori istituzionali ed a chi suole presentarsi di frequente di fronte alle telecamere come ’autorevolè esponente del mondo universitario – equilibrio, cognizione di causa, delicatezza e sensibilità”.
Ma soprattutto, continua la lettera, “prima di ogni altra cosa, richiede rispetto. Rispetto per le centinaia di vittime, per tutte le vittime: appartenenti alle forze dell’ordine, esponenti della società civile, semplici cittadini, giovani studenti”. E ancora: “Rispetto per i familiari delle vittime che, come ebbe a dire il presidente Mattarella in occasione di un anniversario di quella che è stata forse la più immane tragedia di quegli anni, la strage di Bologna ’hanno saputo trasformare il dolore in impegno civile per testimoniare all’intera società che le strategie del terrore mai prevarranno sui valori costituzionali della convivenza civile e, pertanto, meritano la gratitudine della Repubblica'”.
Il messaggio alla filosofa rossa
La parola d’ordine è una sola: rispetto. Rispetto tanto per le forze dell’ordine quanto per le vittime di quella “rivoluzione”. Ma la missiva firmata dalla polizia ha il compito di mostrare l’ennesimo paradosso della filosofa in rosso. “Fatte queste doverose premesse – continua il leader sindacale – viene da chiedersi se lei, ordinaria di Filosofia Teoretica presso l’Università La Sapienza di Roma, abbia contezza del tributo di sangue versato dal suo stesso ateneo a quella ’rivoluzione’, che con un post pubblicato sul proprio profilo social in ricordo della defunta Br, ha ritenuto di rivendicare come propria.”
E l’elenco, purtroppo, non è breve: “Ebbene, professoressa, per dovere d’ufficio ci preme rinfrescarle la memoria con qualche nome di suoi – ci consenta, più autorevoli – colleghi: Aldo Moro, ordinario di Procedura penale, ucciso dalle Br il 9 maggio 1978 in note circostanze; Vittorio Bachelet, ordinario di Diritto amministrativo, ucciso il 12 febbraio 1980 da un commando delle Br al termine di una lezione; Ezio Tarantelli, ordinario di Economia politica, ucciso il 27 marzo 1985 da un commando delle Br nel parcheggio dell’ateneo, al termine di una lezione; Massimo D’Antona, ordinario di Diritto del lavoro, ucciso dalle Br il 20 maggio 1999 a Roma in note circostanze”. Il messaggio delle forze dell’ordine non lascia spazio a interpretazioni. Di Cesare, più che alle scontate prese di posizioni politiche, dovrà rispondere ai parenti di chi ha combattuto in prima persona la violenza del terrorismo rosso.