La nuova minaccia cinese negli Usa

La nuova minaccia cinese negli Usa

Arriva dal Congresso Usa la conferma dei sospetti di sofisticate attività di spionaggio cinese sul territorio americano. Infatti, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, un’indagine parlamentare avrebbe accertato la presenza di dispositivi di comunicazione attivabili da remoto nelle gru fabbricate in Cina che torreggiano sulle bachine dei porti degli Stati Uniti. E la rivelazione apre nuovi preoccupanti interrogativi sul confronto sempre più acceso tra Washington e Pechino.

La paura delle gru

L’America è da tempo in allarme per i rischi alla sicurezza nazionale posti dalle gru costruite dall’azienda cinese Zpmc, fornitrice di quasi l’80% delle gigantesche strutture portuali presenti nel Paese. “Raccolgono dati, cercano informazioni” ha spiegato pochi giorni fa ai giornalisti di Bloomberg Gene Seroka, il direttore esecutivo del porto di Los Angeles. A febbraio la Casa Bianca è corsa ai ripari annunciando un investimento da 20 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni per sostituire le gru prodotte all’estero con quelle made in Usa attraverso un’affiliata statunitense della società giapponese Mitsui. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel settore che vedrà per la prima volta negli ultimi 30 anni la realizzazione di tali strutture negli Stati Uniti.

L’amministrazione Biden ha poi emanato direttive volte ad incrementare la sicurezza informatica dei porti assegnando maggiori poteri alla Guardia costiera al fine di permettere anche ispezioni su navi che potrebbero rappresentare una cyber minaccia. Il timore generale è che hacker della Repubblica Popolare Cinese possano compromettere il regolare funzionamento delle infrastrutture marittime negli States sabotando a loro piacimento il trasporto delle merci ed avendo contezza delle forniture militari inviate dagli Usa ai suoi alleati. Taiwan in primis.

La conferma dei timori

Sorprende ma non stupisce dunque quanto scoperto sulle oltre 200 gru costruite nel Paese del dragone dall’inchiesta di Capitol Hill condotta congiuntamente dalle commissioni che alla Camera si occupano di Homeland Security e di Cina. Nello specifico sarebbero stati individuati più di una dozzina di strumenti di comunicazione, alcuni dei quali definiti “cellular modem”, azionabili da remoto e non necessari per le normali attività portuali.

Il deputato repubblicano Mark Green, a capo della commissione per l’Homeland Security, ha affermato che lo spionaggio effettuato con i dispositivi collegati alle gru potrebbe permettere a Pechino di sconvolgere le dinamiche commerciali, le catene di distribuzione e i movimenti dei cargo “devastando l’economia nazionale”. “Gli Stati Uniti hanno trascurato per troppo tempo questa minaccia”, ha dichiarato inoltre Green aggiungendo che la Cina sta cercando di trovare “qualsiasi opportunità per raccogliere intelligence preziose e posizionarsi per sfruttare le vulnerabilità presenti nelle infrastrutture critiche dell’America”.

Senza entrare nel merito della questione, Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, ha sminuito le accuse di spionaggio definendole frutto di “paranoia” mentre la Zpmc ha pubblicato sul suo sito internet un comunicato in cui afferma che l’azienda nel mirino del Congresso si è sempre attenuta a “leggi e regolamenti” dei Paesi in cui opera. Rassicurazioni che difficilmente riusciranno a convincere la Casa Bianca sulle reali intenzioni del gigante asiatico.

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