Vicini, ma irraggiungibili. Serve Lucio Battisti per raccontare il ritorno mediatico di Olindo e Rosa, iniziato con un colpo di scena («I due non vogliono farsi riprendere») che spiazza i cronisti in sala stampa a intonare un nooooo come per un gol annullato all’ultimo secondo, e segna una nuova strategia difensiva precisa, inedita. Niente telecamere puntate, niente immagini da regalare alla tv. Come a dire, stavolta alla sbarra non ci siamo noi ma il processo che abbiamo subito. Basta con i fotogrammi in gabbia da esibire alla fiera del processo di revisione, come in primo grado a Como, nel tentativo di proteggerli almeno dai giornalisti – cacciati incomprensibilmente dall’aula – meno dagli sguardi dei tanti giovanissimi che scrutano con attenzione ogni loro mossa dietro le sbarre, d’acciaio e orizzontali, in una vasca di pochi metri quadrati con un sedile stretto. Ma chi cerca le effusioni resta deluso, e non per la freddezza tra i due. Anzi.
Andrea Spinelli è l’artista che, come in America, ha il compito di ritrarre i due – come ha fatto a Milano ai processi contro Alessia Pifferi e Giulio Impagniatiello – ma anche sul suo schizzo è calato l’oblio della difesa. «Me l’ha chiesto Nico D’Ascola (storico legale della coppia, ndr), non me l’aspettavo», racconta al telefono mentre in auto torna in città. È lui uno dei «supertestimoni» a cui i cronisti devono pietire sensazioni e impressioni de relato sui coniugi, mentre in aula legali, Corte e Procuratore generale battibeccano su «ammissibilità» e «merito» delle prove depositate e al vaglio dell’udienza, con un profluvio di citazioni di sentenze della Cassazione, articoli, frasi in latino.
Chissà cosa pensa Olindo quando il Pg Guido Rispoli dice che già il 15 dicembre il superteste Mario Frigerio fa il nome di Olindo «tre volte», ipotesi rimossa dalle sentenze che sopravvive soltanto in un podcast colpevolista, non certo sulle carte che il Pg dice invece di aver studiato. Rosa è la più nervosa, sempre sull’orlo di una crisi di pianto. Il tono urlato e sarcastico, a volte caricaturale dell’Avvocato generale Domenico Chiaro non aiuta a capire dove si andrà a parare, stona la sua strategia di storpiare i cognomi di Cuno Tarfusser («Non era titolato a presentare la revisione») o del loro tutore Diego Soddu, di sbagliare citazioni cinematografiche («Matchball anziché Matchpoint» di Woody Allen) e di irridere il «vento innocentista» dietro il lavoro di alcuni giornalisti.
Olindo indossa un maglione blu elettrico, molto vistoso, che impietosamente mostra ai presenti una forma tutt’altro che perfetta e i 120 chili che si vedono tutti. Tanto che lui stesso se ne duole: «Poteva disegnarmi senza pancia, però…», è l’ingenua considerazione di un sessantenne dipinto come un mostro spietato, tutt’altro che stupido. Quando il presidente del collegio della Corte d’Appello di Brescia, Antonio Minervini, prende la parola dopo l’ennesima pausa per annunciare il rinvio al 16 aprile, Olindo si mette le mani nelle orecchie e fa due passi indietro, come non volesse più sentire. Rosa Bazzi l’avvicina, gli toglie le mani dal viso e gli spiega, sussurrando, che l’udienza era stata spostata perché l’aveva chiesto il suo avvocato Fabio Schembri. Ce lo racconta un ragazzo raccolto nel suo smanicato nero, desideroso di raccontare ai cronisti la sua impressione. C’è chi li ha visti «impassibili», chi attenti a capire (più Olindo che lei). Tutte impressioni da registrare a scatola chiusa, perché chi prova ad avvicinarsi all’aula viene respinto dalla truppa di solerti carabinieri che ubbidiscono con le buone all’ordine «zero cronisti in aula, solo cittadini». Ci proviamo anche noi, invano, non prima di aver intravisto Rosa nel suo lungo soprabito tra il marrone e il beige, lungo, con una specie di sciarpa al collo.
«So io cosa sta passando lei, sarà spaventata e arrabbiata», dice Alessandra Carati, autrice del libro-ritratto della Bazzi intitolato Rosy dove emerge il percorso di dipendenza emotiva dal marito. «La loro mente fragile è tutta da sondare», ci ricorda D’Ascola. Intanto Azouz Marzouk ne approfitta per uscire. Lui è il nemico diventato amico, disposto a litigare con gli ex cognati Pietro e Beppe Castagna pur di dimostrare l’estraneità della coppia alla mattanza. Gli chiediamo come li ha visti, ci risponde con la solita smorfia sul viso che vuol dire tutto e nulla: «Invecchiati, come me». Sipario.