C’è modo e modo, per il padrone assoluto della Russia, di regolare i conti con chi non lo ossequia. Alexei Navalny, che aveva osato brandire il registro della sfida aperta a Vladimir Putin anche sul piano personale, ha appena pagato il prezzo più alto: morto a 47 anni in un gelido penitenziario siberiano, in circostanze che solo una robusta dose di malafede può consentire di ritenere poco chiare. Prima di lui erano finiti nell’arco di un ventennio all’altro mondo altri sfidanti coraggiosi dell’uomo che ha resuscitato il potere del Kgb dopo la parentesi eltsiniana degli anni Novanta: Alexander Litvinenko, Anna Politkovskaya, Boris Berezovsky, Boris Nemtsov, solo per citare i più conosciuti di una lista insanguinata che è assai più lunga.
Oleg Orlov, per il quale la Procura di Mosca ha chiesto ieri tre anni di carcere per aver infamato il buon nome delle forze armate russe, appartiene a un altro filone: quello di chi, invece di finire ammazzato per le sue libere opinioni, se la cava finendo sepolto vivo. Quello che in passato ha visto imprigionato per un decennio a regime duro Mikhail Khodorkovsky (oggi libero in Inghilterra per una serie di fortunate coincidenze), rivale di Putin in affari e in politica, e che oggi annovera tra le sue file dolenti i più lucidi e coraggiosi esponenti della dissidenza russa come Vladimir Kara Murza e Ilya Yashin, sempre per non annoiare il lettore fornendo liste più lunghe e complete.
Orlov, che sta per compiere 71 anni, ha un curriculum di tutto rispetto, che sembra fatto apposta per irritare il Duce del Cremlino: dirigente di Memorial, premio Nobel per la Pace e premio Sakharov per la libertà di pensiero. Putin, che considera il secondo e il terzo punto poco più che provocazioni occidentali, è molto più infastidito dal primo. Memorial, infatti, è un’organizzazione che si occupava (fino a quando è stata messa fuori legge come agente di potenze straniere) di documentare e rendere pubblico il ricordo delle stragi staliniane, che solo in Russia tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento hanno mietuto diversi milioni di morti. Putin, però, non gradisce che si parli male di Stalin: da tempo ha deciso di recuperarne la figura sanguinaria come grande condottiero patriottico, all’interno di un diabolico mix ideologico che pretende di tenere insieme il conservatorismo estremo che manda in galera gli omosessuali ed esalta la guerra esistenziale all’Occidente con la nostalgia per l’imperialismo sovietico.
Orlov, oltre tutto, non solo pretendeva di continuare a dar voce ai discendenti delle vittime di Stalin, ma anche a chi ritiene che la guerra all’Ucraina sia un errore criminale di Vladimir Putin. E siccome c’è un’apposita legge che manda in galera fino a 15 anni chi pensa e dice questo, Orlov andrà in galera. Ci andrà senza paura né rimpianti, perché come ha detto ai suoi giudici asserviti non ho niente di cui pentirmi: non c’è nulla di esagerato nell’aver definito fascista e totalitario il regime di Putin, un regime vecchio e decrepito cui non rinuncerò ad oppormi, come ci ha insegnato a fare Navalny che per questo è stato ucciso.