Netanyahu potrebbe averla spuntata, almeno per ora. La delegazione israeliana ha chiuso i colloqui di Parigi con il capo della Cia, Egitto e Qatar e ha sottoposto ieri sera al Gabinetto di guerra israeliano una bozza di accordo per il rilascio dei 134 ostaggi israeliani ancora in mano a Hamas, di cui si ritiene un centinaio ancora vivi. Indiscrezioni riferiscono di «cauto ottimismo» da parte israeliana. Con gli Stati Uniti che sperano e premono perché la bozza diventi intesa prima dell’inizio del Ramadan, mese sacro per i musulmani, il 10 marzo.
Sul tavolo dei negoziati, per cominciare, ci sono 6 settimane di tregua nella Striscia di Gaza e il rilascio di 35-40 ostaggi in cambio di 200-300 detenuti palestinesi. Il dato politico – secondo indiscrezioni dei media sauditi – sarebbe «l’ammorbidimento» di Hamas, che avrebbe abbandonato le richieste di ritiro completo dell’esercito israeliano e di cessate il fuoco permanente a Gaza e ridotto il numero di prigionieri palestinesi di cui chiede il rilascio. Gli islamisti chiedono a Israele di lasciare alcuni centri abitati della Striscia e consentire a donne e bambini di tornare al nord. Ora c’è «una base di accordo» – confermano fonti israeliane – «su cui costruire un piano e i negoziati». Nonostante «i progressi significativi», potrebbero volerci diversi giorni: «Siamo ancora lontani da un’intesa».
Per Netanyahu è la conferma che la linea del governo sta funzionando. Da una parte la pressione militare su tutta la Striscia e la minaccia che, senza un accordo, la città di Rafah, già colpita da bombardamenti israeliani (almeno 7 morti ieri), venga evacuata del milione e mezzo di civili palestinesi radunati, per essere poi colpita da un’offensiva israeliana ben più potente entro l’inizio del Ramadan. Dall’altra la trattativa, con il rigetto fermo delle richieste di Hamas di ritiro e cessate il fuoco permanente.
Tutto può ancora succedere, ma la tregua sarebbe utile a entrambi i belligeranti. Ad Hamas per far entrare più aiuti, tentare di riorganizzarsi e salvare il suo capo, Yahya Sinwar. A Netanyahu perché cresce la pressione interna (ieri 5 arresti a manifestazioni antigovernative a Tel Aviv) e internazionale perché protegga i civili, quasi 30mila morti ormai. L’Idf non smette però di denunciare l’uso dei palestinesi come scudi umani e la contiguità di alcuni con i terroristi e ha annunciato la scoperta di un deposito di mortai nella casa di un alto ufficiale di Hamas a Khan Younis. Le armi erano all’interno di borse dell’Unrwa, l’agenzia Onu che Israele accusa di complicità con i terroristi. Proprio con le Nazioni Unite è di nuovo scontro. Un gruppo di esperti Onu ha chiesto l’embargo sulle armi a Israele, perché mandarle violerebbe il diritto umanitario internazionale e il ministro degli esteri Katz ha accusato L’Onu di cooperare con i terroristi».
La situazione resta tesissima anche ai confini di Israele. La marina ha condotto «estese» esercitazioni con navi lanciamissili in vista di un possibile conflitto sul fronte nord, alla frontiera con il Libano, e l’Idf ha bombardato postazioni di Hezbollah, il gruppo armato che continua a colpire Israele. Nel Mar Rosso, il Comando centrale statunitense ha lanciato l’allarme «disastro ambientale» dopo che un attacco dei ribelli Houthi dello Yemen ha colpito una nave britannica causando una chiazza di petrolio di 29 chilometri, con il rischio che l’imbarcazione sparga in mare i fertilizzanti.