Gli investigatori avevano denunciato la presenza di poco cibo e di scarsa qualità. Di frigoriferi spesso vuoti e di ambienti inospitali, pieni di muffe e umidità. Secondo la suocera del deputato Aboubakar Soumahoro, invece, il problema sarebbero stati i migranti troppo esigenti a tavola, al punto da rifiutare la cucina italiana e da costringerla ai fornelli. La versione offerta da Marie Therese Mukamitsindo ai sostituti procuratore della Repubblica di Latina lo scorso 15 gennaio scarica di fatto le responsabilità sui profughi ospiti dei centri gestiti dalla cooperativa Karibu e sulle loro condotte.
“La gestione delle esigenze alimentari degli ospiti era tutt’altro che semplice. Siamo stati costretti spesso a chiamare polizia o carabinieri perché gli ospiti non volevano mangiare il riso italiano“, ha affermato la donna, secondo quanto riporta Repubblica. E ancora, nell’interrogatorio da lei stessa richiesto, ha aggiunto: “Anch’io sono andata in alcune occasioni a cucinare presso la struttura con le usanze del paese. Abbiamo fatto di tutto per andare incontro alle esigenze alimentari degli ospiti, comprando persino farina d’arachide e olio di palma in Ghana“. Ma la procura si è fatta un’idea completamente diversa sulla base delle indagini e delle testimonianze di alcuni ex dipendenti della cooperativa pro-migranti.
Gli inquirenti hanno parlato di stranieri costretti “in condizioni di totale violazione dei diritti e della dignità di esseri umani“, alloggiati in stanze sporche, dove non c’erano né riscaldamento né acqua calda. Gli investigatori sostengono inoltre che i migranti erano costretti anche a farsi da soli le pulizie e a cucinare. Ma la suocera del deputato Soumahoro (il quale, lo ricordiamo, non è indagato ed è estraneo alla vicenda) ha invece puntato il dito proprio sui migranti. “Alcuni scambiavano l’operatore per una colf oppure erano disordinati. “Le operatrici avevano paura ad entrare nelle stanze. Ricordo che un’operatrice ci segnalò di essere stata toccata da uno degli ospiti“, ha dichiarato.
Secondo la prefettura, nelle coop gestite dalla donna sarebbero stati assenti anche i corsi di alfabetizzazione e le altre attività per gli ospiti previste negli affidamenti. Ma Mukamitsindo ha negato: “Li abbiamo coinvolti in iniziative teatrali, musicali, di cucina e agricoltura“. La donna, scrive Repubblica, ha pure contestato il commissario messo a capo della Karibu dopo che la cooperativa è stata messa in liquidazione dal Ministero delle imprese. La gestione dell’accoglienza – ha dichiarato – “è una cosa complicata e non ci si può fermare soltanto ai numeri, perché ci sono manuali operativi del Ministero dell’interno, che ci dicevano quello che era permesso e quello che era vietato. Il commissario liquidatore a mio avviso non ha letto il manuale operativo, i verbali dell’assemblea e del CdA, e ha interpretato i dati cercando di dare conferma a quello che dicevano i giornali“.
Secondo l’accusa, i milioni di euro destinati dallo Stato all’accoglienza dei migranti sarebbero finiti in investimenti all’estero e in spese per beni di lusso: per questo la procura di Latina ha chiesto il rivio a giudizio per la signora Mukamitsindo e per i figli, la moglie dell’onorevole, Liliane Murekatete, e i cognati del parlamentare, Michael Rukundo, Richard Mutangana e Aline Mutesi. Ma la suocera del deputato sostiene ora di averci addirittura rimesso, nonostante sia già a processo anche per una presunta evasione milionaria: “Ho anticipato soldi che ancora non ho recuperato e per poter mangiare sono dovuta andare due mesi a fare la badante“.
E gli abiti firmati pagati con le carte della Karibu? “Ci sono stati matrimoni di ragazzi usciti dai centri, in cui ho fatto la testimone, in questi casi gli ho comprato gli abiti per le nozze“. Sarà Sarà il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Giulia Paolini, a pronunciarsi.