Quasi tutti uniti nella piazza anti-Putin

Quasi tutti uniti nella piazza anti-Putin

La gigantografia del volto di Alexei Navalny si accende sulla facciata del Campidoglio, e la splendida piazza sopraelevata è già stracolma. Carlo Calenda, che ha sfidato per primo le altre forze politiche a manifestare contro la satrapia criminale di Putin, subito dopo l’esecuzione nel gulag del suo più celebre dissidente, fa gli onori di casa insieme al sindaco della Capitale, Roberto Gualtieri, con fascia tricolore.

Si accendono le fiaccole, le telecamere inseguono Elly Schlein in giaccone blu. All’altro lato della piazza, intanto, si levano grida e invettive: il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo è appena spuntato nella calca, e alcuni manifestanti lo contestano per i rapporti privilegiati tra Carroccio e regime russo. Gridano: «Vergogna, vergogna! Andate via amici di Putin!». Tocca all’organizzatore della manifestazione difendere il malcapitato: «Siamo qui per celebrare un martire della libertà, ed è bene che ci siano tutte le forze politiche. Gravitas impone di non sollevare polemiche», dice Calenda. Il particolare bizzarro è che, tra i contestatori, alcuni si proclamano orgogliosamente appartenenti all’Anpi, che negli ultimi due anni si è battuta per abbandonare l’Ucraina all’invasore. Contraddizioni in seno al popolo. Del resto persino il capo Cgil Maurizio Landini, anche lui fiero «pacifista» anti-Ucraina, fa brevemente capolino in piazza: segno del terremoto che l’assassinio di Navalny ha provocato anche tra chi si oppone agli aiuti a Kiev.

Il vicepremier Matteo Salvini si defila, lasciando Romeo a barcamenarsi contro le accuse di filo-putinismo: «Navalny? Certo il sospetto che sia stato ammazzato c’è, ma la certezza no. Noi siamo qui perché il sospetto ce lo abbiamo, e speriamo che si faccia luce su questo crimine». Poi, mentre gli gridano contro, esplode: «Eccoli, i democratici…». Intanto il vice presidente della Camera Fabio Rampelli, Fdi, dice: «Siamo qui contro l’autarchia assassina di Putin, e a sostegno dell’Ucraina».

Si defila anche Giuseppe Conte, protagonista durante i propri governi di molti affettuosi scambi con la dittatura putiniana (culminati nella oscura «missione» russa in Italia durante il Covid, assai sospetta di intenti spionistici e interrotta grazie all’opposizione dell’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini) e di un memorabile incidente proprio sul caso Navalny. Quando l’allora premier proclamò che il satrapo del Cremlino gli aveva garantito una «inchiesta» sull’avvelenamento del dissidente, e venne smentito dal Cremlino medesimo, che ovviamente non aveva alcuna intenzione di indagare su sé medesimo. Stavolta Conte ha capito di non poter sorvolare sull’assassinio di Navalny, e lo ha doverosamente condannato. Ma si è ben guardato dal mettere la faccia sulla manifestazione («ho altri impegni»), spedendo in sua vece i capigruppo e qualche fedelissimo. Lui intanto si lancia in un’apologia del mestatore filo-Putin Julian Assange, sostenendo che non va estradato in Usa dove deve essere processato per spionaggio. E in un’intervista a Repubblica ha lanciato sentiti segnali di appeasement a Mosca, ribadendo la propria fiera contrarietà a qualsiasi appoggio alla difesa dell’Ucraina invasa, augurandosene in pratica la resa perché «con Putin bisogna dialogare». Duramente rintuzzato dalla dem Lia Quartapelle: «Putin è un gangster, e la sua Russia è ormai non è più solo un regime ma uno stato totalitario. Come si può dialogare con un gangster totalitario?». Nel frattempo Schlein smorza le polemiche anti-Lega («L’importante è la partecipazione così ampia. Bene così») e dribbla in silenzio le domande sull’assenza di Conte.

Dopo le polemiche dei giorni scorsi, invece, si è saputo che una delle persone identificate alla commemorazione di Navalny ai giardini dedicati ad Anna Politkovskaja era un ex brigatista: Alberto Franceschini

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