È tempo di smettere di giocherellare e di prendere responsabilità. Siamo di fronte a un’ondata di antisemitismo catastrofico, simile a quella degli anni Trenta, segnale di sfascio della società dei diritti umani: crea violenza contro persone di ogni età e condizione, contro i beni e il lavoro, distrugge la scuola e la cultura, impone un totalitarismo del pregiudizio che si trasforma in paura, dittatura. A Firenze Marco Carrai, coraggioso console onorario di Israele, presidente dell’ospedale dei bambini Meyer, viene perseguitato con manifestazioni e urla accusandolo di non aver speso una parola «sul massacro dei bambini in corso a Gaza» e con la persecuzione fisica. Persino due molotov al consolato.
Del resto secondo il Cdec nel 2023 si sono avuti 454 episodi contro i 241 del 2022. Israele è il nuovo deposito dell’odio. Netanyahu ieri sul Corriere era dipinto da Elly Shlein come il feroce progettatore di una «nuova ecatombe», Rafah per tutti non è un obiettivo strategico indispensabile, ma una fissazione violenta. L’era dell’avvento dell’Iran e di Hamas produce un rombo sordo: non è possibile che durante il Festival un cantante, Ghali, si prenda la libertà di dare del «genocida» a Israele, costretto per pura autodifesa a combattere la guerra più difficile. E che il padrone di casa, l’affabile Amadeus, non senta il bisogno di scusarsi. Vorrei spiegargli che equivoco è quello cui ha consentito di apparire senso comune alla menzogna antisraeliana. Non c’è Bella ciao qui, è una guerra nuova nata da 13mila missili sulla gente di Israele, stupri di donne e bambini, mutilazioni. Solo Hamas ne è responsabile. Gaza era nelle sue mani da 16 anni, e ne ha fatto una macchina di distruzione. Questa è la guerra più difficile mai combattuta: si combatte su 800 chilometri di gallerie contro un gruppo nazista che ha tagliato la testa ai neonati, violentato e smembrato 1.400 innocenti e rapito 360. Hamas ha 30mila guerrieri, oggi decimati ma senza segni distintivi (Israele ha la divisa e segue le norme internazionali), ha organizzato dentro le strutture civili depositi e fabbriche d’armi, tutta la popolazione è il suo scudo umano. Hamas ruba il rifornimento umanitario alla gente; nasconde i rapiti nei tunnel per difendere Sinwar.
Israele è sfollata dai suoi kibbutz, le famiglie sono private dei loro cari rapiti o uccisi, i soldati combattono dal 7 ottobre, ma a chi importa nulla? Sono ebrei. Secondo fonti di Hamas, programmi radiofonici e tv ci ripetono che una bambina che chiedeva aiuto adesso è morta sotto le rovine. Sarebbe tristissimo se fosse vero. Forse lo è. Ma non si sa: così urlata, la vicenda diventa una leggenda del sangue, la sete di sangue degli ebrei, quella antica del sangue infantile nelle azzime. Di quanti bimbi sono stati uccisi in braccio alla loro mamma e poi mutilati da Hamas, verità certificate, non si chiede mai. La prego, chieda scusa Amadeus, sono certa che lo vuole fare.
Come chiede il ministro degli Esteri israeliano Katz, l’Onu smetta di mantenere una funzionaria innamorata dell’immagine costruita negli anni, la solita Francesca Albanese. A Macron, che ha indicato il 7 ottobre come il giorno della maggiore strage antisemita, fa sapere che è dovuta all’oppressione di Israele. Che miserabile cinismo oppure ignoranza. Per lei Israele perseguita, opprime, uccide, occupa, aggredisce, il suo furore espansivo è un dogma palese, niente conta la storia dei rifiuti palestinesi continui dal 1948, niente la catena di decine di migliaia di vittime di un terrorismo messianico. Che ne sa la funzionaria dell’Onu? Adesso qualcuno deve capire, anche da quelle parti, dopo uscite del genere che il rischio è mondiale, proprio come al tempo di Hitler. Non lo aveva capito nessuno, nemmeno allora.