Il 6 febbraio scorso Tucker Clarkson aveva annunciato a sorpresa con un post su X l’impresa che non è riuscita a nessun giornalista occidentale dallo scoppio della guerra in Ucraina: intervistare Vladimir Putin in quel di Mosca. Ma chi è costui? Il giornalista è diventato popolare quale conduttore del programma Tucker Carlson Tonight, trasmesso da Fox News fino alla sua rottura con il canale televisivo.
Why I’m interviewing Vladimir Putin. pic.twitter.com/hqvXUZqvHX
— Tucker Carlson (@TuckerCarlson) February 6, 2024
La “crociata giornalistica” di Carlson
Un’ “operazione verità” a detta del giornalista, trumpiano inossidabile, perché “A due anni dall’inizio della guerra che sta rimodellando il mondo intero – ha commentato – la maggior parte degli americani non è informata. Non hanno idea di cosa stia succedendo, ma dovrebbero sapere il motivo per cui stanno pagando“. Il riferimento è a miliardi di dollari che il governo americano ha stanziato finora all’Ucraina per contrastare l’invasione russa. Resta, tuttavia, un mistero su come e quando sia giunto il placet da Mosca: il microfono del Cremlino, Dmitri Peskov, ha evitato di rispondere alla domanda su quando esattamente è stata registrata l’intervista e ha negato che Carlson abbia una posizione “filo-russa” assicurando che Putin ha accettato di parlare con lui perché la sua posizione sarebbe lontana da quella degli altri giornalisti anglosassoni. “La sua posizione è diversa dalle altre. Non è nè filorussa nè filoucraina, ma piuttosto filoamericana, ma almeno contrasta con la posizione dei media anglosassoni tradizionali“, ha detto Peskov. Carlson sarebbe arrivato in Russia il 3 febbraio, secondo i media locali: Peskov ha rifiutato di rivelare i dettagli dei preparativi per l’incontro, in particolare se il giornalista statunitense sia andato in quarantena prima dell’incontro con Putin.
Perchè Putin ha invaso l’Ucraina
Puntuale come un orologio svizzero, il Tucker Carlson Network, la piattaforma privata del giornalista, manda in onda alle 18.00 (ora delle East coast) l’intervista di 127 minuti allo zar. “Le sue risposte ci hanno scioccato” è il disclaimer con cui il giornalista-sotto il nevischio moscovita- annuncia il video a seguire. L’ambientazione dell’intervista è assolutamente insolita per gli standard a cui ci ha abituato Putin: un enorme studio parzialmente nella penombra, un tavolino e due sedie bianchi, distanza di circa un metro tra l’intervistato e l’intervistatore. Due bicchieri d’acqua, uno di vetro e scoperto, l’altro blindatissimo e opaco.
Carlson inizia a bruciapelo chiedendo a Putin conto dell’idea da cui tutto sarebbe partito: che gli Stati Uniti, nel febbraio 2022, sarebbero stati pronti a un attacco alla Russia contro la Nato. Putin ride: “Non ho mai detto questo, siamo in un talk show o stiamo avendo una conversazione seria?”. Carlson scoppia in una fragorosa risata con tanto di eco. Ma è dopo la battuta che Carlson promette di conservare “That’s the quote!”, inizia la lezione di storia di Putin lo zar a partire, addirittura dal 862 d. C.. A seguire, la consueta narrazione a base di Rus’ di Kiev: niente di nuovo sotto il sole, se non Putin che cerca di fare il simpatico saggio (“offre” persino dei documenti probanti il tutto) e Carlson che da bravo scolaro ascolta, fino a perdersi, costretto a chiedere ragguagli su “di quale epoca stiamo parlando?“.
Quel treno perso per la Nato perso
C’è un tema su cui Carlson insiste nell’intervista, e sul quale Putin temporeggia a lungo: perchè non “riprendersi” l’Ucraina una volta salito al potere? Ed è qui che Putin lentamente confessa la sua visione su Kiev (nel frattempo l’excursus storico è giunto quasi al crollo del Muro): l’Ucraina è uno stato artificiale. Putin arriva al fatidico 1991 e ai suoi desiderata. Dal suo canto ci si sarebbe aspettati, dice, che la Russia fosse accolta nel novero delle “civili nazioni occidentali” e che la promessa di non espandere la Nato fosse rispettata. E giunge al 2000, al suo incontro con Bill Clinton al quale avrebbe chiesto se la Casa Bianca pensasse che la Russia potesse entrare nella Nato: qualche ora più tardi, sostiene Putin (che chiede nel frattempo di trovare conferma in Clinton che “vedrà l’intervista”), l’ex presidente Usa gli confessò che dal suo team era giunto un niet. Un’ulteriore occasione perduta, a detta di Putin, sarebbe stata quella della creazione di un sistema di difesa missilistico congiunto con gli Stati Uniti: un’idea “discussa proprio nel suo studio” e che poi fallì miseramente. Ecco perché, spiega lo zar, Mosca è andata avanti da sola nella costruzione di missili ipersonici, intestandosi un primato mondiale.
La versione di Putin: la guerra poteva finire 18 mesi fa
Ma i colpi di scena di Putin non finiscono con i 2000, proseguono fino a pochi mesi or sono. Il leader russo sarebbe stato pronto diciotto mesi fa a firmare la fine della guerra con l’Ucraina, ma l’allora premier britannico Boris Johnson avrebbe fatto saltare l’accordo. Nell’intervista al giornalista americano, il Presidente russo ha detto che i negoziati si erano tenuti a Istanbul e che l’Ucraina aveva firmato l’accordo ma poi aveva ritirato la firma su pressione di Johnson, per il quale “era meglio combattere la Russia“. Putin sostiene che a mettere la firma a parte dei preliminari di accordo sarebbe stato Davyd Arakhamia, il capo del partito al governo e consigliere di Zelensky. “E’ molto triste per me – ha detto Putin – perché, così come lo pensava anche Arakhamia, avremmo potuto fermare queste ostilità già da un anno e mezzo. Dov’è ora Johnson? E la guerra continua“.
Cui prodest?
Mentre la notte cala su gran parte d’Europa e la sera giunge sulla costa est degli Stati Uniti, c’è da scommettere che nelle prossime ore l’intervista deflagrerà come una bomba a orologeria. Putin, nella sua intervista, fa nomi e cognomi, ha rivelato incontri e accordi nella sua versione dei fatti. Nulla di tutto questo resterà senza risposta. C’è da chiedersi a quale mulino finirà tutta quest’acqua. Innanzitutto a quello di Carlson e al suo network: il giornalista detronizzato da Fox ha un’immagine da ripulire e quella di scudiero delle verità taciute è un ruolo allettante che nutrirà a lungo i suoi canali. Del resto, è già nella storia, vista la missione compiuta: su questa restano numerosi interrogativi sul come, considerato il sistema blindato di provenienza e quello d’arrivo, tanto da far salire sulle barricate l’Europa, che comunque resta cauta su eventuali sanzioni.
C’è poi il mulino Maga, pronto a ricevere i fiumi d’acqua portati dal passionario Carlson: sostenere la versione di Putin, ammantata da operazione trasparenza, puntare il dito contro gli errori dell’establishment americano nel maneggiare la complessa relazione con gli Usa è funzionale a instillare negli elettori americani il dubbio, se non la certezza, della frode. Un inganno che li vuole vittime della propaganda di Volodymir Zelensky, impoveriti dal finanziamento di una guerra che non hanno voluto, e che intima loro di scegliere, ancora, Donald Trump.
Ma l’intervista serve anche allo zar. Prossimo alla rielezione bulgara, non è totalmente esente dal peso del consenso. Le cose a Mosca scricchiolano da tempo, nel suo entourage così come fra le mogli e le madri di chi non è più tornato a casa. Senza dimenticare il consesso internazionale: in poche settimane Putin ha trasformato la Russia da patria del re-start a paria internazionale. L’effetto psicologico dell’intervista è quello di mostrarsi pater familias di tutte le Russie ingannato dall’Occidente claudicante più e più volte; ma anche del leader aperto che ammette a corte un microfono del nemico, anche se quel microfono è di uno come Carlson. E per edulcorare le sue pretese non risparmia riconoscimenti alla Cina e rassicurazioni all’Europa: l’invasione di Polonia o Lettonia è “fuori discussione“, ha promesso a tutti noi.