L’ultimo delirio della sinistra? “Femminilizzare” le leggi

L'ultimo delirio della sinistra? "Femminilizzare" le leggi

«Si diventa stupratori attraverso l’apprendimento di codici virilisti che rimandano all’esercizio di potere sui corpi delle donne». È questa la suggestiva sintesi del ragionamento che la filosofa Giorgia Serughetti (nella foto) affida al quotidiano Il Domani.

Il refrain è sempre lo stesso: è colpa della «stampa di destra» che sottolinea «con una sorta di automatismo» quando un crimine come questo «è commesso da stranieri», inserendo questo reato «nel frame dello scontro di civiltà». È la stampa di destra che si scaglia contro «la sinistra che tace» e «le femministe che rigettano la strumentalizzazione razzista di questi crimini». Bisognerebbe invece «estirpare questi codici», come una specie di transizione sessuale verso una norma che inquadri la violenza sulle donne non come «strutturale alla comunità maschile dominante» ma come un reato basato sul genere, come recita la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa». Bisogna dunque «femminilizzare» le leggi per punire con maggiore severità la violenza sulle donne? È davvero questo che chiede la Serughetti? Coniare il termine «femminicidio» è servito a interrompere questa macabra mattanza? Ci sono giovani immigrati che non riescono o non vogliono integrarsi, ostaggio di una cultura «machista» intrecciata di risvolti religiosi e credenze sociali che crea in loro una crescente diffidenza verso le donne «occidentali», che si esibiscono sui social in nome di una libertà che sempre più spesso viene percepita erroneamente come un invito a provarci. È qui che bisogna lavorare: non sulle regole da femminilizzare o sulle identità sessuali su cui equivocare ma su un’educazione che non si può più delegare a chi già fatica a istruire chi non vuole nemmeno imparare.

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