Si chiama «gentle parenting» e, poco alla volta, sta diventando il nuovo modello educativo dei genitori. Ne parlano non solo i giornali, soprattutto dell’anglosfera, ma anche gli influencer sui social, in particolare su Tik Tok. Il «gentle parenting» si basa essenzialmente su quattro principi: l’empatia, il rispetto, la comprensione e i confini. Valori condivisibili, sia chiaro. Che, però, in questo modello vengono applicati con un’unica finalità: evitare il conflitto. A tutti i costi. Ciò che apparentemente sembra positivo rischia di diventare negativo. Perché i bambini, soprattutto quando sono piccoli, non hanno bisogno di qualcuno che dia una motivazione per ogni decisione presa. O che sia a tutti i costi empatico. A volte, il distacco, è necessario. Come per un buon medico, che non può permettersi il lusso di mostrare pietà nei confronti del malato. Una volta, i genitori se la cavavano con un «no, perché te lo dico io». Che non era un esercizio di autoritarismo (al massimo di autorità), ma il voler dire una cosa molto semplice e bella: «No, perché te lo dico, che ti voglio bene». Ovvero: che voglio il tuo bene. È quel no, secco e deciso, che oggi pesa di più e che sembra incomprensibile ai più. Che genera conflitti e spesso pure rabbia. Ma che serve. Oggi i genitori vogliono essere a tutti i costi competenti. Passano ore sui libri di pedagogia e di psicologia per comprendere come comportarsi. Quando essere duri e quando morbidi con i propri figli. Quando essere tolleranti e quando severi. Mente invece basterebbe essere «semplicemente» padre e madre. E non amici che si pongono sullo stesso piano. Perché il compito dei genitori è proprio questo: stare davanti per indicare la via da percorrere. E poi farsi da parte affinché siano i figli a camminare da soli. E, magari, a guidare qualcun altro.