Solo nell’immortale sentina di affari e di circoli che è una certa Roma può accadere che il figlio di Vincenzo Visco, economista post comunista, già ministro della Finanze dei governi rossi, passato alla storia come «Dracula» (copyright Giulio Tremonti), finisca a chiedere favori bussando alla porta di Gianni Alemanno, primo postfascista diventato sindaco della Capitale. Ma in questa città Gabriele Visco è nato, cresciuto e vissuto.
Ne ha assaporato la trasversalità delle relazioni. Per dire: negli stessi anni in cui papà Vincenzo guida il ministero delle Finanza con metodi impopolari, come quando mette online i redditi di tutti gli italiani mandando in crash i computer presi d’assalto, il trentenne Gabriele ottiene un posto d’oro nella Telecom di Marco Tronchetti Provera. Gavetta dura: prima sede San Francisco, seconda sede Venezia. In azienda se lo ricordano sveglio, socievole, anche se nessuno riesce a spiegare bene che lavoro facesse.
Sta di fatto che il trampolino di lancio funziona alla grande: nel 2008, il rampollo di casa Visco fa un bel salto e viene assunto a Sviluppo Italia, il megacarrozzone inventato nel 1999 da Massimo D’Alema, e che ora si chiama Invitalia. A firmare la sua lettera di assunzione è Domenico Arcuri, l’amministratore delegato divenuto famoso all’epoca del Covid e ora sotto inchiesta per la storia delle mascherine cinesi. Sulle qualità che portarono all’assunzione di Gabriele Visco si scatenano lazzi e polemiche. Al punto che deve intervenire il papà, da poco tornato al ministero come sottosegretario di Tommaso Padoa Schioppa, parlando di «barbarie politica» e di «atto squadristico»; misi vuole, dice, «ammorbidire, neutralizzare o ricattare».
Mio figlio, fa sapere «Dracula», «è da circa 10 anni persona autonoma dalla famiglia, ha fatto una propria carriera lavorando in diverse società in Italia e all’estero e arrivando a ricoprire ruoli da dirigente grazie alle proprie capacità».
Già, le capacità. Su questo tema delle capacità, l’ordinanza che ieri mette Gabriele Visco agli arresti domiciliari offre spunti illuminanti. Perché, a dispetto delle capacità, Visco non si sente abbastanza valorizzato, e pensa bene di mettere di mezzo l’amico Pierluigi Fioretti, figura quasi da antologia del palazzinaro romano, personaggio ruspante ma con le amicizie giuste, «ottenendo la promessa di un interessamento da parte sua verso politici di sua conoscenza, vantando quest’ultimo un rapporto con persone che lavorano a fianco del ministro Urso».
E qui «vantando» pare sia il verbo giusto, visto che Urso di questi traffici non sapeva niente. Nel trojan però rimane registrata la richiesta quasi accorata di Visco per aiuto «ho un momento un po’ di tensione, quindi se potete fa’ du’ telefonate a qualcuno che alza il telefono». Niente da fare. Non solo non lo promuovono, anzi lo cacciano. Ora arriva la botta finale, che lo mette agli arresti nella sua spettacolosa casa di via Monte della Farina, nel cuore di Roma, pagata con 900mila euro pochi anni fa. Anche allora ci fu chi provò a guastargli la festa, spiegando che il prezzo era risibile, ma Gabriele si difese bene: «L’ho comprata a un’asta». D’altronde siamo o non siamo a Roma?