Il via libera alla norma «anti-ribaltone» lo dà in mattinata Giorgia Meloni dal Giappone, per telefono al ministro per le Riforme, Elisabetta Casellati, che ha lavorato nel week end sul testo. Matteo Salvini e Antonio Tajani hanno già approvato l’ultima versione della riforma costituzionale sul premierato. I 4 emendamenti al ddl vengono presentati a Palazzo Madama dal governo, non dai capigruppo di maggioranza come previsto, perché «così si rafforza il senso dell’intesa raggiunta», spiega Alberto Balboni, relatore FdI e presidente della commissione Affari costituzionali del Senato «Sono gli italiani- dirà qualche ora dopo la premier-, se passa la riforma, a scegliere da chi essere governati.
Stabilità dei governi, basta trasformismo, basta inciuci, basta governi tecnici. Non mi stupisce che chi ha privilegiato i governi scelti nel palazzo oggi sia contrario». Allude ai circa 2mila emendamenti delle opposizioni. Solo Iv condivide la riforma, ma 16 correzioni le chiede. Come Meloni è soddisfatta Casellati, di aver chiuso «la fase uno della riforma» con «una mediazione tra le diverse sensibilità interne alla maggioranza» ed evitando «uno squilibrio di potere con l’eventuale premier subentrante».
Nel testo finale infatti si rafforza per il premier eletto dal popolo la prerogativa di chiedere al Quirinale il voto se viene sfiduciato. Prima si prevedeva il subentro di un secondo premier della stessa maggioranza, attribuendo a lui un potere maggiore dell’eletto, perché alla fine del suo governo il Parlamento sarebbe stato sciolto. L’incongruenza segnalata da quasi tutti i costituzionalisti in Commissione è stata corretta nel nuovo articolo 4: se il premier viene sfiduciato «mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere», se si dimette volontariamente e «previa informativa parlamentare può proporre, entro 7 giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone». Nella precedente versione il premier eletto poteva chiedere di tornare alle urne in caso di «mozione motivata» di sfiducia di una delle Camere, ma non se mancava la fiducia richiesta su un provvedimento. Per una sola volta nella legislatura può essere nominato un secondo premier della stessa coalizione, per andare avanti sul programma. Oltre ai casi di morte, impedimento permanente o decadenza, succede se il capo del governo si dimette volontariamente e neppure con un reincarico riesce a ricomporre la crisi.
«Allora informa le Camere – spiega al Giornale Balboni- e la crisi si parlamentarizza, può sfociare in una mozione di sfiducia e in un voto, o no.
Ma il pallino rimane in mano al premier eletto, sarà lui a voler sciogliere Camere, proseguire con un reincarico o cedere il passo al secondo premier. Ho dato il suggerimento giusto e abbiamo trovato il corretto equilibrio. Il ministro Casellati è stata bravissima nel riuscire ad andare incontro ai dubbi della Lega e a fare chiarezza sul fatto che non togliamo al parlamento le sue prerogative ma garantiamo maggiore stabilità di governo. Peccato che le opposizioni vogliano fare ostruzionismo». Dice il consigliere giuridico della premier, Francesco Saverio Marini, che il meccanismo è «simile nella sostanza al premierato britannico, in cui il presidente del Consiglio ha il potere di scioglimento» e la norma sul secondo premier ora «è molto più coerente rispetto alla previsione dell’elezione diretta».