Per la stampa di sinistra la violenza diventa grave ma solo se è “patriarcale”

Per la stampa di sinistra la violenza diventa grave ma solo se è "patriarcale"

Prendete qualche notizia di stupro e indirizzatela mediaticamente verso una sola narrazione, quella che funge da falsariga a una campagna nazionale o globale – rivolta verso le colpe del maschio italiano e occidentale, campagna che ha un solo e lieve difetto: spesso è sbagliata. Prendete quindi i titoli di tre quotidiani sul recente stupro di Catania (Corriere, Stampa e Repubblica di domenica scorsa) fatto da sette egiziani ai danni di una ragazzina davanti al suo fidanzato: e notate che, nei titoli, la parola «egiziani» non è mai apparsa. Sul Corriere, la titolazione era «La 13enne violentata dal gruppo», su La Stampa era «Violentata dal branco riconosce gli aggressori» con affianco l’articolo/intervista «Gli abusi sessuali sono in crescita, manca l’educazione all’affettività», mentre su Repubblica era «La 13enne identifica i suoi violentatori» con in basso l’articolo «Stupro in Europa, donne italiane mobilitate» e affianco, nella pagina di sinistra, «Migrante suicida dopo 8 mesi di Cpr», con la parola «migrante» che finalmente appariva, ma per altra questione: per lo stupro no, anche se risultano migranti anche i violentatori.

Accadeva domenica, mentre, per sabato, non stiamo a ripetere tutti i titoli (fidatevi) ma segnaliamo che Repubblica non aveva la notizia in prima pagina, dove però spiccava «Chi ferma i femminicidi. Le risposte che mancano» (mancano le giuste domande, forse) mentre sul Corriere c’era un articolo di fondo pagina titolato «I ragazzini senza genitori arrivati in Italia dall’Egitto» (che messa così sembravano dei turisti itineranti) al contrario de La Stampa che, sabato, ha proprio bucato la notizia.

Insomma: la volontà di non associare quei sette egiziani stupratori (di cui uno minorenne) alla cultura musulmana che è la loro, talvolta indistinguibile dall’autorità dello Stato da cui provengono, qualcosa, ossia, che considera la donna come inferiore all’uomo e quindi è punibile per le sue esuberanze, ecco, questa volontà ha avuto la meglio, in ossequio a un conformismo che comincia davvero a spaventare. In Egitto le violenze contro le donne sono allineate a quanto accade in Medio e Vicino Oriente per via di questo sì, si può pronunciare senza ridere un patriarcato e un rigore religioso riacutizzatosi dagli anni Settanta, tanto che una legge specifica, che criminalizzi la violenza contro le donne, in Egitto neppure c’è. È il primo indizio che dovrebbe saltare in mente a carico di questi sette disgraziati stupratori, che forse neanche conoscono le leggi italiane che hanno violato: lo si evince anche dalla facilità con cui si sono fatti beccare. Ma non interessa, questo: non interessa, cioè, ammettere che persino gli stupri andrebbero valutati caso per caso e che per questo esistono le leggi applicate con dovizia dalla Magistratura. Non interessa, tantomeno, la probabilità che questi sette stupratori in erba, ospitati da una comunità siciliana, siano parte di quella bomba migratoria e non meno disgraziata composta anche da 24mila minori sbarcati senza famiglia da Egitto e Tunisia e Marocco: i sette egiziani, nel caso, risultano sbarcati tra il 2020 e il 2023. La consegna conformista prevede viceversa un’enfasi mediatica massima per stupri come quello di Palermo del luglio scorso, più facilmente «patriarcabile», al punto che su altri due quotidiani, ieri, si cercava di reindirizzarvi anche il caso di Catania: «Tredicenne stuprata a Catania, Ho rivissuto quella notte a Palermo», e ancora «Stupro di Catania, la ragazza violentata a Palermo: Ho rivissuto quella notte». Poi magari ci sbagliamo: può anche essere che lo stupro dei sette egiziani abbia a che fare col patriarcato occidentale o che, tra una preghiera e l’altra non abbiano ricevuto un’adeguata com’era? – educazione all’affettività.

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