I tatuaggi dei ragazzi per non dimenticare il nuovo Olocausto: “Balleremo ancora”

I tatuaggi dei ragazzi per non dimenticare il nuovo Olocausto: "Balleremo ancora"

Mia Schem, 21 anni, rapita al Nova Festival, tenuta prigioniera da Hamas per 55 giorni a Gaza, dove è stata operata senza anestesia da un veterinario per le ferite riportate durante l’assalto, una volta liberata e tornata in Israele sul braccio si è fatta incidere parole di speranza: «Balleremo ancora», «We will dance again», in inglese, in modo che il messaggio arrivi al mondo. Poi la data del giorno che non vuole e non può togliersi dalla testa – 7.10.23 – anche se è stato il peggiore non solo per lei, ma per gli ebrei dagli orrori dell’Olocausto. Anche Haim Jelin, 65 anni, ex parlamentare della Knesset e membro del kibbutz Be’eri, dove in 130 sono morti per mano dei terroristi, ha voluto sulla sua pelle, per sempre, la data del terrore: «Non la dimenticheremo mai. Né fra cinquanta né fra cent’anni». E semmai qualcuno volesse cancellare o rimuovere dalla memoria quel momento, a decine hanno scelto un tatuaggio «per non dimenticare» il pogrom in cui, 80 anni dopo la Shoah, 1200 israeliani, di cui la metà sotto i trent’anni, sono stati uccisi con una barbara volontà di sterminio.

A quattro mesi dall’attacco di Hamas a Israele, in ogni angolo del Paese si moltiplicano le richieste di privati cittadini che vogliono avere sul proprio corpo un segno indelebile di quel tragico giorno. Nonostante, nella tradizione ebraica, il tatuaggio sia per lo più un tabù e nonostante rievochi l’orrore dei numeri incisi sulle braccia dei deportati nei campi di concentramento, sono sempre più numerosi i sopravvissuti, i familiari delle vittime, i conoscenti di chi è stato massacrato, ma anche i semplici cittadini, che chiedono un marchio incancellabile di quella tragedia sulla propria pelle. Molte delle vittime, d’altra parte, avevano loro stesse tatuaggi sul corpo. Così è accaduto agli amici di Gal Danguri, Nadav Bartal e Ofek Ravia, tre ragazzi di 23 anni, tutti massacrati al rave di Reim. Il trio, da sempre molto affiatato, aveva sulla pelle la stessa immagine, una mano simbolo della loro fratellanza. Allo stesso modo, nel loro ricordo, sette amici hanno voluto che i tatuatori riproducessero quel disegno sulle proprie braccia o sulla propria schiena. Trasformandosi anche loro in memoriali viventi.

Le immagini rimbalzano sui social, da Instagram a Twitter. I tatuatori raccontano ai media israeliani come l’incontro si trasformi, se il cliente acconsente di entrare in argomento, in una seduta di psicoterapia in cui, fra ricordi ed emozioni forti, sgorgano anche le lacrime. La tatuatrice Yosefi ha riferito al Times of Israel di aver cominciato a ricevere decine di richieste già nei primi giorni successivi alla strage. Fra queste – ha aggiunto il collega Pentagram, di Tel Aviv – ci sono anche cittadini che non hanno perso parenti o amici. Un fenomeno non solo israeliano. A Londra l’artista Nick Rose, nei due mesi successivi al 7 ottobre aveva già inciso duecento tatuaggi gratuiti per membri della comunità ebraica. Fra le immagini impresse figura anche quella di una delle eroine del 7 ottobre, Rachel Edry, la settantenne di Ofakim che per 15 ore ha intrattenuto i terroristi nel solo modo che conosceva, con la sua gentilezza, offrendo loro dolcetti, qualche frase in arabo stentato e qualche canzone in ebraico, consentendo alla polizia di fare irruzione in casa e salvare lei e il marito, mentre gli estremisti venivano uccisi.

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