«E così, cari concittadini, non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro Paese». La celebre frase pronunciata da John F. Kennedy a chiusura del discorso di insediamento alla Casa Bianca nel gennaio del 1961 e rimasto scolpito nella memoria collettiva evidentemente non appartiene al bagaglio politico culturale di un altro John, quello che di cognome fa Elkann. Ieri infatti l’erede della dinastia Agnelli, che invoca dal governo nuovi e massicci aiuti di Stato per produrre auto in Italia, ha annunciato un altro duro colpo per il nostro Paese: due mesi di cassa integrazione (lavoratori a casa, paga lo Stato) per i dipendenti dello storico stabilimento Mirafiori di Torino.
Se la decisione di Fiat sia un fallo di reazione alla linea dura della Meloni nei confronti degli imprenditori questuanti (niente aiuti senza investimenti chiari e certi), cioè se Elkann voglia essere aiutato dal suo Paese per tornare a Kennedy – senza aiutare il suo Paese, non lo sappiamo con certezza. Perché probabilmente la vera domanda è: ma siamo sicuri che questo top manager sia italiano, o abbia quantomeno a cuore i destini dell’Italia oltre che del suo impero? Ha un nome, anzi tre (John, Philip, Jacob) e un cognome (Elkann) non propriamente italici; è nato a New York, vive in giro per il mondo ed è presidente di una società, Stellantis, con capitale a maggioranza francese guidata da un portoghese, l’ad Carlo Tavares.
Questo per dire che a occhio è da ingenui sperare che Elkann faccia spontaneamente qualche cosa di utile sì per la sua azienda, ma anche per i suoi formalmente «concittadini» italiani; più da realisti è ipotizzare che il suo cuore (e soprattutto il suo portafoglio) batta a favore dei cugini francesi. Tutto legittimo, ovviamente, ma questo giustifica ampiamente la riluttanza del governo a mettere mano al suo di portafoglio (che poi è il nostro, la Meloni non stampa euro nottetempo in cantina) per togliere le castagne dal fuoco a uno che si chiama fuori, anche con un certo cinismo, dal progetto di salvezza-crescita della nostra economia reale.
Certo, logica vorrebbe che a fare le barricate contro la spoliazione in corso fosse in primis il sindacato, ma evidentemente anche il cuore e il portafoglio della Cgil di Maurizio Landini battono altrove.