Novanta milioni di dischi fa, c’erano notti che facevano una vita. Lo sapeva bene anche lui, appena trentacinquenne, barba bruna e folta, sorriso che tradiva un certo nervosismo. Se ne stava nell’anticamera del palco avvolto in quel singolare giubbotto di pelle nera, un chiodo, roba che andava fortissimo all’epoca e che è comunque rimasta appesa in una intercapedine che resiste al deformarsi dello spazio e allo scorrere del tempo. Appoggiato alla parete, accanto a lui, più agitato di lui, se ne stava il padre. Anzi, il babbo, visto che Andrea Bocelli arrivava da Lajatico, minuscolo borgo della Toscana profonda.
Le cose erano andate così. Lui aveva duettato con Zucchero al posto di Pavarotti. Avevano fatto insieme una versione di Miserere. Si erano subito sollevate le antenne di un certo ambiente. Il telefono aveva trillato in fretta e dall’altro lato del cavo c’era Caterina Caselli, che gli proponeva di firmare per Sugar, la sua etichetta discografica. Erano stati due colpi bene assestati per uno che sognava di vivere facendo musica, ma il meglio doveva ancora arrivare.
Il passo successivo aveva la facciata rassicurante, ma anche intimidente, del teatro Ariston. Preso in gara nella sezione “Nuove proposte” del Sanremo 1994. Trent’anni fa. Nella sua categoria se la sarebbe vista anche con Irene Grandi e Giorgia, ancora acerbe, ma il cui talento già trapelava nitido. Quella edizione la conduceva Pippo Baudo, che per la prima volta era anche il direttore artistico. Al suo fianco, sul palco, si alternavano Anna Oxa ed Helena Viranin, in arte Cannelle. I collegamenti Rai con le giurie vennero affidati ad Antonella Clerici.
Tra i campioni vinse un altro non vedente, Aleandro Baldi, con la canzone Passerà. Ma chi lasciò davvero tutti spiazzati fu Giorgio Faletti, fino ad allore principalmente conosciuto come comico e attore. Con la sua squassante Signor Tenente aprì una finestra necessaria sulle stragi mafiose di Capaci e via d’Amelio, ancora così vicine e risuonanti.
Bocelli sapeva di trovarsi di fronte ad una gigantesca sliding door. Serviva indovinare i tempi giusti, per stare dalla parte giusta del vetro. Lo confortava parzialmente il fatto che la canzone presentata, Il mare calmo della sera, l’avevano scritta a sei mani Zucchero, Gian Pietro Felisatti e Gloria Nuti. Sul palco però toccava a lui fare la differenza. Il tempismo e la qualità dell’esecuzione però sono quelli giusti. Sul palco dell’Ariston Pippo Baudo chiama proprio il suo nome – davanti ad Antonella Arancio e Danilo Amerio – come vincitore della categoria. Platea e loggione deflagrano in una lunga ovazione.
Quel brano darà anche il titolo al primo album del tenore, che diventerà nei mesi successivi disco d’oro e venderà centomila copie. Lui, intanto, allarga un sorriso stringendo il trofeo in mano, sempre con quel chiodo che fornisce materiale e colore alla stampa. Dietro le quinte, adesso, può tirare un sospiro anche il babbo. Il mondo ha appena fatto conoscenza con uno tra i più grandi tenori della storia futura. Andrea sfila via salutando l’Ariston. C’è tutto ancora da fare. Era novanta milioni di dischi fa.