Nicola Pietrangeli è atterrito. Fissa il vuoto come chi non può davvero credere a quello che sta sentendo. “Ma come non hai la roba dietro? Sei venuto in coppa Davis senza la roba?“. Quell’altro, Tonino Zugarelli, farfuglia qualcosa. Dice che comunque non scenderà in campo. Siamo tra la fine di luglio e l’inizio d’agosto del 1977. Barcellona, fase finale della Coppa Davis, zona A. Fino a lì è successo che Corrado Barazzutti è rimasto impigliato nella rete di infidi palleggi tessuti da José Higueras. Primo turno perso. Però al secondo Adriano Panatta ha sconfitto Manuel Orantes e nel doppio (Bertolucci – Panatta) l’Italia si è portata davanti.
Quarto incontro: Barazzutti si riprende e batte in scioltezza Orantes: 3-1 Italia, vittoria. C’è ancora da disputarsi l’ultimo ininfluente match. I tifosi spagnoli – sugli spalti ci sono circa 6mila persone, sono immalinconiti. La frustrazione eromperà presto in rabbia. Gli iberici adesso schierano Javier Soler, ancora un ragazzino. Per giocare questa gara di cui non frega niente a nessuno, Pietrangeli fa alzare quella che per lui è la riserva, Zugarelli. E qui i racconti divergono. Per il capitano della squadra (e anche per gli altri tennisti) Zugarelli si è davvero presentato senza completo e racchette, perché pensava di non giocare. Lui dice che non è così, che la mattina stessa ha allenato i suoi compagni. Ma anche che non è una riserva. Insomma, pare che l’ordine perentorio ricevuto, di giocare una partita che non conta nulla, l’abbia fatto infuriare.
A questo punto Pietrangeli chiede ai vertici della federazione, lì presenti, che si prendano provvedimenti immediati. Si fa avanti però Panatta: “Ma quali provvedimenti, state buoni, gioco io contro il ragazzino, dai”. Gioca Panatta, dunque, e tutto sembra volgere al meglio. Non fosse che gli spagnoli sono inferociti per avere perso. E appena Adriano inizia a riscaldarsi piovono bordate di fischi e ululati. Che poi diventano grandinate di offese. Panatta fa spallucce per un po’, poi si infastidisce. “Ah sì? Allora vedete cosa vi combino”, dice tra sé. La scena è riportata nel dettaglio nel documentario Sky “Una squadra”.
E qui comincia lo sfacelo. Il piccolo Soler tira e Panatta respinge volutamente fuori. Prima una, poi due, poi tre volte, platealmente. Il pubblico si inferocisce ancora di più. La partita diventa una farsa della durata di 14 minuti. Gli spagnoli, già infuriati, si sentono scherniti. Soler vince facile, perché Adriano non ha praticamente giocato e un po’ sghignazza. Adesso gli astanti sradicano i cuscini dalle loro sedute e li lanciano contro il nostro, urlandogli contro di tutto. Non fanno male, ma è meglio andarsene.
Per farlo, Panatta deve inoltrarsi in un tunnel tra due ali di folla assetata di vendetta. E quando passa qualcuno gli sfila le racchette dal borsone, un altro gli assesta una cuscinata in testa, in molti vorrebbero averlo a portata di ceffone. Lui, invece di andarsene, reagisce. Si lancia sugli spalti e comincia a menare a caso, prima di essere diviso dalla sicurezza. Verrà fuori che centra in pieno volto l’unico tifoso italiano finito nella ressa. “Quell’altro – dirà molti anni dopo sorridendo, riferendosi a Bertolucci – mica venne a darmi una mano. Stava su, in tribuna, a soccorrere le nostre mogli, che dicevano di svenire. Ma non era un tipo da risse“. Replica Bertolucci, ridendo: “Ci avrei messo almeno un quarto d’ora a raggiungerlo”. Il telecronista è attonito: “Mi dicono di dire che è una vergogna! Una vergogna!”.
Alla fine qualcuno riesce a trascinare via Panatta, che riavviandosi la frangia scomposta se ne va. Almeno, adesso, deve pensare, la partita meno influente della storia se la ricorderanno per qualcosa.