“I protocolli del Careggi di Firenze? Un’operazione ideologica sulla pelle dei bambini”

"I protocolli del Careggi di Firenze? Un'operazione ideologica sulla pelle dei bambini"

Negli ultimi giorni hanno fatto molto discutere alcune notizie riguardanti i protocolli utilizzati all’Ospedale Careggi di Firenze per la transizione di genere dei minori. Infatti il Ministero della salute ha inviato degli ispettori per capire cosa sia successo perché, secondo alcune indiscrezioni, sembrerebbe che siano stati intrapresi percorsi di transizione di genere e somministrati bloccanti della pubertà ai bambini, senza però prima passare dallo step obbligatorio delle visite psicologiche e psichiatriche. Violazioni che, se confermate, sarebbero scandalose e sulle quali si è espressa anche l’associazione Pro Vita & Famiglia, da anni in prima linea contro la transizione di genere e l’uso dei bloccanti della pubertà nei minori. Abbiamo intervistato Jacopo Coghe, portavoce della onlus che sta portando avanti anche un’iniziativa di sensibilizzazione e denuncia, sempre sul tema gender, contro le linee-guida sulla transizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Jacopo Coghe, cosa sta succedendo all’Ospedale Careggi e cosa denunciate?

«Quello che sembra emergere è uno scenario preoccupante: stiamo parlando di danni enormi è potenzialmente irreversibili alla salute psicofisica dei bambini. Se tutto ciò venisse confermato, potremmo dire di essere di fronte a scelte prese non su base scientifica, come ci si aspetterebbe da una clinica medica, ma completamente ideologica».

Quindi cosa bisognerebbe fare secondo voi?

«Innanzitutto controlli più serrati in tutte le strutture sanitarie italiane adibite al trattamento della disforia di genere, oltre che a uno stop all’uso del farmaco dei bloccanti della pubertà (triptorelina) nei minori e in generale delle terapie affermative. L’Italia, in tal senso, dovrebbe prendere esempio e seguire quei Paesi un tempo pionieri proprio nella transizione, come Gran Bretagna, Australia, Svizzera, Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Olanda e buona parte degli stati degli Usa, che ora stanno facendo marcia indietro, appunto chiudendo le cliniche per la transizione. E’ assurdo che a Londra il Tavistock Center sia stato chiuso proprio per i danni che queste terapie portano ai bambini e qui, invece, si procede in senso contrario».

Non solo Italia. Vi siete occupati anche dell’Oms.

«Sì. Anche il massimo organismo sanitario globale a quanto pare agisce sotto i diktat delle lobby LGBT. Tra qualche giorno, a Ginevra, dovrebbe infatti riunirsi una commissione per stilare delle linee-guida sulla transizione di genere, linee guida che poi dovrebbero essere adottate da tutti i Paesi membri. Lo scandaloso è che questa commissione sia composta per la maggior parte da attivisti Lgbt e trans. Per ora l’Oms, dopo le nostre denunce, ha chiarito che queste linee-guida non dovrebbero interessare i bambini, ma non avremo mai la certezza assoluta se ci sono così tanti attivisti ideologicamente orientati a formare la commissione. Ecco perché andrebbe sciolta e bloccata la programmazione di questo documento».

In contemporanea avete lanciato anche una campagna sulla vita. Cosa chiedete?

«Ci rivolgiamo direttamente al Parlamento. Negli ultimi mesi sono stati presentati diversi disegni di legge sul concepito e in particolare quelli dei Senatori Menia di Fratelli d’Italia e Gasparri di Forza Italia, che propongono di modificare l’articolo 1 del Codice civile al fine di riconoscere la capacità giuridica, e quindi l’umanità, dei bambini nel grembo materno. Ecco. Noi chiediamo che vengano al più presto discussi e votati dal Parlamento per farli diventare legge. Nel dibattito pubblico si parla in continuazione di diritti, allora è arrivato il momento di riconoscere il primo di tutti i diritti, il diritto alla vita senza il quale tutti gli altri non possono esistere».

Quali azioni avete messe in campo?

«Innanzitutto abbiamo presentato un sondaggio nazionale che svela come addirittura il 64% degli italiani è favorevole al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo anche ai nascituri. Questo dato ci dimostra come la narrazione mainstream sia molto differente dalla realtà: gli italiani sono in favore della vita. Abbiamo lanciato una campagna di affissioni che svela come 9 biologi su 10 in tutto il mondo concordino che la vita umana inizia appunto dalla fecondazione. E infine, proprio pochi giorni fa, abbiamo lanciato una petizione per chiedere al Parlamento di agire subito e abbiamo già raccolto oltre 11mila firme https://www.provitaefamiglia.it/petizione/basta-discriminazioni-chiediamo-il-riconoscimento-giuridico-del-concepito-firma-ora. Cosa altro serve come prova inconfutabile che il concepito è un essere umano a tutti gli effetti?»

Avete preso parte anche al recente dibattito sul fine vita in Veneto?

«Ci siamo interessati, come sempre, a contrastare ogni tipo di deriva eutanasica e il Veneto su questo è stato l’ultimo episodio. Con una campagna informativa e camion vela abbiamo denunciato la natura radicale e non certo di centro destra di Zaia, che voleva tradire i suoi elettori e cittadini. Fortunatamente la legge sul suicidio assistito in Veneto non è passata».

Cosa vi aspettate?

«È fondamentale rimanere vigili, poiché gli eventi in Veneto evidenziano come possa essere semplice iniziare un percorso che porta prima al suicidio assistito e successivamente aprire la porta all’eutanasia senza limiti. Ci stiamo confrontando con proposte in diverse regioni che potrebbero portare a una normalizzazione della morte assistita dallo stato, ma la nostra determinazione a contrastare queste tendenze rimane incrollabile. La nostra visione per la gestione del fine vita si concentra invece sull’importanza delle cure palliative, sull’effettiva applicazione della legge 38/2010 e sul fornire adeguato sostegno agli hospice, ai familiari e ai caregiver, per assicurare un accompagnamento dignitoso e rispettoso nei momenti finali della vita».

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