Vittorio Emanuele di Savoia lascia un messaggio di «grande amore verso l’Italia e la sua famiglia». «Ha avuto una vita difficile, un’infanzia travagliata, la sua famiglia ha pagato con l’esilio, ma non si può condannare per eventi commessi prima che nascesse». A parlare al Giornale è Domenico Savini, storico di famiglie reali, commentando la morte del figlio dell’ultimo re d’Italia.
«Al di là delle polemiche sulla famiglia Savoia, sento un grande dispiacere quando viene a mancare qualcuno. Non conoscevo Vittorio Emanuele personalmente, ma lo incontravo tutti gli anni a Roma, a casa del Marchese Ferrajoli, per la consulta dei senatori del Regno. Ha avuto una vita molto travagliata, ma è stato un ottimo marito e un ottimo padre. Bisogna tener conto di un’infanzia difficile: a 9 anni è dovuto partire dal suo Paese, lasciare tutto per andare verso un avvenire ignoto. La sua non è stata una vita facile». E prosegue Savini: «Io giudico da storico, quale sono. La giustizia ha fatto il suo percorso e non voglio occuparmi di questo. Vittorio Emanuele era il frutto di due culture completamente diverse, all’antitesi: da una parte il tipo di formazione culturale e politica di casa Savoia, una famiglia di tradizioni militari e piuttosto rigida; dall’altra, il tipo di cultura che veniva dalla madre, una famiglia illuminata, la famiglia reale del Belgio. Maria José è sempre stata di idee molto avanzate ed erano in contrasto con quelle del suocero. In mezzo c’era la figura del padre, che è stato un uomo in bilico tra la cultura più moderna che gli proponeva la moglie e la cultura molto rigida e militaresca che gli proponeva la figura del padre».
Che cosa resta della famiglia Savoia?
«Ci sono gli eredi, c’è Emanuele Filiberto che è una persona molto gentile, disponibile. Non ha mai dato adito né a pettegolezzi né a chiacchiere. Si potrà dire che ha fatto delle apparizioni televisive, ma nulla vieta che una persona di una famiglia reale, anche se non regnante, non possa fare spettacolo. L’opinione pubblica è sempre disposta a condannare. Non si perdonano ai Savoia molte cose, ma non si può condannare né Vittorio Emanuele né Emanuele Filiberto di cose accadute prima che loro nascessero o quando erano bambini. D’altra parte hanno chiesto pubblicamente perdono delle cose successe prima della seconda Guerra mondiale. Hanno pagato con l’esilio, Emanuele Filiberto è nato in esilio, non ha mai visto l’Italia fino a quando era già adulto».
E sulla divisione tra i Savoia e gli Aosta?
«Si parla troppo di polemiche e inimicizie, ma parlarne va solo a rinfocolare antiche dispute che risalgono a qualche generazione fa. Di questioni giuridiche se ne è occupata la giustizia. Saranno i posteri a dare l’ardua sentenza. Io mi limito a dire che Vittorio Emanuele ha amato l’Italia più di ogni altra cosa al mondo».
Che presa hanno ancora sull’Italia i Savoia?
«Ho degli amici inglesi che mi dicono che per sapere qualcosa sulla loro famiglia reale, chiedono agli italiani. Perché gli italiani hanno una curiosità viscerale, quasi morbosa, per le famiglie reali. C’è molta presa, la gente ne parla, la tv ne parla, i giornali ne parlano. L’eredità è fortissima».
Quale è il futuro della corona?
«Per quello che riguarda la discendenza diretta di Vittorio Emanuele, c’è Emanuele Filiberto. Mi sembra si sia comportato sempre bene, con il suo ruolo. Non ha mai dato adito a pettegolezzi sulla sua vita privata. È un ottimo marito e padre».
Quale è il confronto con le altre monarchie europee?
«I Savoia sono dovuti partire quasi con le valigie in mano e andare in Portogallo e poi in Svizzera. Non hanno avuto una formazione né culturale, né politica rispetto ai sovrani europei, formati fin dal momento in cui nascono».
C’è un messaggio che lascia Vittorio Emanuele?
«Lascia un messaggio di grande rispetto e amore per la famiglia e di un grande amore per l’Italia, che ha ritrovato pressoché anziano. Al di là degli errori fatti, ha amato fino alla fine l’Italia e la sua famiglia».