Una vendita mascherata. Ora Elkann ci spieghi

Stellantis, Elkann incontra Mattarella e Giorgetti: i temi sul tavolo

Non sorprende il piglio di Carlo Tavares, l’amministratore delegato di Stellantis che ha minacciato la chiusura degli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano se entro breve il governo italiano non metterà mano al portafoglio per sostenere con incentivi più adeguati la produzione di auto elettriche in Italia. La sua non è arroganza ma la determinazione di un capoazienda che sa di muoversi in uno dei settori industriali, l’automotive, tra i più spietati e competitivi, e quindi imbocca le strade che più ritiene convenienti per raggiungere gli scopi aziendali. Certo, il fatto che Stellantis privilegi le produzioni in Francia o nei Paesi satelliti, a scapito di quelle in Italia, ci fa sobbalzare perché ci sentiamo traditi, trattati come una lontana provincia dell’impero quando alla costruzione dell’impero abbiamo partecipato da protagonisti. Ha però poco senso protestare contro le pretese di chi oggi ne è alla guida: piaccia o no, sta facendo ciò per cui è stato chiamato. Né vale entrare nel merito delle sue richieste che, opportune oppure no, verranno certamente respinte al mittente (nonostante l’incubo dell’avanzata cinese dovrebbe indurre qualche riflessione).

Vale invece interrogarsi su come sia stato possibile che il principale gruppo industriale italiano, che Sergio Marchionne aveva riportato all’onor del mondo sotto il nome di Fiat Chrysler Automobiles (Fca), sia diventato ancella di una società, la francese Peugeot (Psa), le cui condizioni non erano certo migliori. Una domanda che andrebbe rivolta all’azionista John Elkann, che non esitò a chiudere un accordo di vendita a vantaggio soprattutto della sua Exor, incurante (…)

(…) del fatto che per l’Italia – dalla quale la Fiat aveva nel corso dei decenni ottenuto molti miliardi di sostegni in varie forme – avrebbe rappresentato una grave perdita di potenza industriale oltre che d’immagine. Al punto che una figura prudente, sia pure schierata, come Romano Prodi non esitò a parlare di «vergognosa svendita». Fu il solo tra i maggiorenti della politica ad alzare la voce. Anzi, Giuseppe Conte, allora premier per la seconda volta, parlò esplicitamente di «grande opportunità per il Paese». E fu proprio il suo governo che nel giugno 2020, alla vigilia della fusione che avrebbe dato vita a Stellantis, autorizzò in ventiquattr’ore l’erogazione di una garanzia di Stato per un finanziamento di 6,3 miliardi concesso da Intesa Sanpaolo.

Potenza delle coincidenze, di lì a poche settimane gli azionisti di Fca riceveranno un dividendo monstre di 5,5 miliardi oltre a una ricca dote in azioni Comau. Perché questo incredibile impoverimento patrimoniale di Fca? Il tutto venne spiegato con un dimagrimento reso necessario affinché la fusione tra Fca e Psa risultasse alla pari. Rivisto oggi in forma di trailer, quel film non può non sollevare pesanti curiosità, anche alla luce del fatto che nell’aprile 2020, vale a dire tre mesi prima, Elkann aveva annunciato l’acquisizione del gruppo editoriale Gedi, cui fa capo il quotidiano Repubblica.

Storia passata, dirà qualcuno; ma quegli eventi rivisitati in modo ravvicinato suggeriscono una lettura che facilita la comprensione di quanto sta accadendo oggi: poiché non di fusione si è trattato ma di una vera e propria cessione, perché stupirsi se i nuovi padroni minacciano la cancellazione di Mirafiori, cuore e storia della gloriosa Fiat? Fiom e Cgil non proferirono verbo al momento di quello scambio: oggi sono chiamati a spiegare il perché alle migliaia di lavoratori che rischiano il posto.

Leave a comment

Your email address will not be published.