Sgarbi si dimette a sorpresa. Storia di un genio guastatore

Sgarbi si dimette a sorpresa. Storia di un genio guastatore

Vittorio Sgarbi si è dimesso dall’incarico di sottosegretario alla Cultura, anticipando il verdetto dell’Antitrust, che ha ritenuto incompatibile la carica con l’attività di conferenziere. Il critico farà ricorso perché ritiene legittimo il divulgare l’arte nel corso (…)

(…) delle sue frequentatissime serate. Il successo non stupisce. Sgarbi è l’ultimo rappresentante di una gloriosa scuola di esperti d’arte. Sgarbi ha studiato con Francesco Arcangeli, un grande critico, allievo prediletto di un grandissimo critico, Roberto Longhi. Erano gli anni d’oro dell’università di Bologna. In quelle aule passavano o erano appena passati Attilio Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Bassani, Bruno Cavallini, Antonio Rinaldi. In questa categoria, la serie A, oltre a una raffinata conoscenza storico-filologica, c’è la capacità di indovinare, a colpo d’occhio, provenienza ed epoca di affreschi e quadri. Quando va bene, Sgarbi è in grado anche di scoprire l’autore e se il dipinto è di bottega oppure di mano del maestro stesso.

Non si capisce Sgarbi guardandolo in televisione, nelle sue pur memorabili partecipazioni ai talk, dove esibisce la sua vena libertaria, sferzando le mezze figure della politica e del giornalismo. Sgarbi si capisce in piazza, nel corso di quei tanto contestati spettacoli dove, con eccezionale bravura, riesce a rendere semplici e affascinanti secoli di arte italiana. Chi altri può spiegare i parallelismi tra Caravaggio e Pier Paolo Pasolini, lasciando di stucco anche chi non ha mai sentito nominare né il primo né il secondo? Nessuno. Sgarbi si capisce partecipando ai suoi pazzeschi tour notturni. «Che ore sono?». «L’una». «Bene, abbiamo qualche ora». Sgarbi parte, torcia alla mano, con una carovana al seguito: cortigiani, cortigiane, amici, amiche, parenti, imbucati vari. Corteo di macchine nella notte. Costringe i sindaci di paesini sperduti ad alzarsi all’alba per aprire chiese e musei, osserva, spiega, fa lezione insomma. «Vittorio sono le quattro». «Va bene, andiamo, è lunga per…» e butta lì il nome di una città a seicento chilometri di distanza. Non fai in tempo a chiedergli se è sicuro, se non preferisce tornare in albergo, che è già in viaggio. Nel frattempo si è dimenticato di cenare e ha risposto a cinquanta telefonate.

Sgarbi appartiene a una specie in estinzione. Dopo di lui, incrociando le dita ovviamente, c’è il nulla. Ci sono bravi studiosi e conoscitori di questo o quel periodo della cultura italiana. Sgarbi è tutto questo ma anche molto di più: è una enciclopedia ambulante e non pensiate che il suo sapere si manifesti solo in campo artistico. Se vi capita fate un esperimento. Chiedetegli cosa ne pensa di scrittori non allineati come Giuseppe Berto o di outsider strepitosi come Antonio Delfini. Vi dimostrerà di avere competenze non canoniche anche in campo letterario.

Sgarbi è una forza della natura, ogni tanto esonda, di fronte all’ignoranza e al moralismo da quattro soldi. A proposito di moralismo. Ogni tanto il conoscitore fa un buon affare per sé. Sottolineiamo, a scanso di equivoci: giustamente e lecitamente. Ma dai, chi lo avrebbe mai detto? Ci voleva una inchiesta giornalistica che dimostra soltanto evidenti limiti nella conoscenza di come funziona il mondo dell’arte. Se le accuse sono quelle finora saltate fuori, capirai che scandalo. Cosa facevano Bernard Berenson, Longhi, Federico Zeri, Philippe Daverio e aggiungiamo pure Giovanni Testori? Anche, sottolineiamo anche, buoni affari per sé. Sono per questo colpevoli? Ma di cosa? Di essere più bravi nelle attribuzioni? Senza Berenson, Longhi e Testori ancora non sapremmo dell’esistenza di un certo Caravaggio, di un certo Bacon, di una serie di capolavori del Rinascimento. Ma del resto le cose vanno così, quando uno è troppo bravo, spesso finisce nella polvere, trascinato dall’invidia altrui.

Sgarbi ha molti amici, e anche parecchi nemici, talvolta coincidono, il carattere non aiuta, eppure è strano, infatti in privato Sgarbi sa essere molto gentile. Pare che all’origine delle sue recenti disavventure ci siano ex collaboratori delusi. Eppure, per esperienza personale, Sgarbi ha l’abitudine di riconoscere sempre i meriti di chi lavora con lui, anche e soprattutto in pubblico.

La politica è l’unico tipo di arte, quella del compromesso, che mal si adatta a Sgarbi. Il critico e deputato e sindaco e sovrintendente e assessore e curatore e scrittore (un po’ di bulimia nell’accumulare cariche è innegabile) non può non dirsi cristiano sulla scia di Benedetto Croce, non ha nulla da dire sulla libertà sessuale perché l’ha sempre praticata, non è mai stato né fascista né comunista. Pensa: un liberale in Italia. Il suo essere «irregolare» è tutto qui: una opzione decisa per la libertà individuale. Silvio Berlusconi è l’unico politico al quale si può accostare.

Quando si arrabbia, Sgarbi spara una raffica di «capra, capra, capra» sull’avversario. Vabbè, fa ridere, non c’è dubbio. Addirittura c’è chi si vanta di essere stato chiamato «capra» e chi implora se lo incontra per strada: «Dimmi capra!». Ma questa è l’essenza del personaggio pubblico e non della persona, dell’ospite tv e non del raffinato conoscitore. Qualcuno li confonde e sbaglia profondamente.

Alessandro Gnocchi

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