«Garantismo» significa rispetto delle regole e quindi va da sé, ovvio, che gli autovelox non si possono distruggere: una persona per bene deve solo augurarsi che il vandalo sia beccato e sanzionato. Nulla però impedisce di augurarsi, in cuor proprio, che a beccarlo e a sanzionarlo impieghino comunque un po’ di tempo: quale tempo? Quello necessario per mettere a fuoco il problema non solo del danneggiamento dei beni pubblici (art. 635) ma anche quello della brama di denaro privato che celato dietro il santino della «sicurezza» e del «ridotto numero dei morti», ciò che autovelox e altre diavolerie elettroniche garantirebbero. Ma gli autovelox che salvano vite sono un’estrema minoranza: esistono, ci sono, ma sono una minoranza piazzata in punti strategici non per prevenire gli incidenti, ma dopo che ci sono stati: e quei pochi, ora, vengono usati per legittimare la quantità di restanti autovelox-trappola che salvano solo i bilanci delle amministrazioni grandi e piccole di tutto Paese, laddove la somma delle multe supera persino
il valore delle imposte: da qui una crescente passione statale e locale per ogni sistema di rilevamento elettronico, con piccoli comuni che imboscano autovelox in tratte dove il limite è di 50 all’ora o sparpagliano telecamere sopra a semafori solitari in mezzo alla campagna. E i morti? Inutile, ora, appesantire l’articolo con statistiche infinite: ciascuno può vedere da sé i dati sugli incidenti stradali diffusi negli ultimi anni da Aci-Istat e Aneis (gli esperti in infortunistica stradale) e verificare che la velocità elevata causa sinistri per circa il 9 per cento dei casi, percentuale inferiore alla guida distratta o all’andamento indeciso (32 e 15%) ma soprattutto inferiore al terzo degli incidenti che, in Italia, sono causati dalla cattiva condizione delle strade. È questo a spiegare, per fare un esempio, perché Spagna e Portogallo hanno limiti di velocità inferiori ai nostri (poveretti) ma hanno il triplo dei morti, mentre in Germania ci sono delle tratte dove non esistono limiti di velocità e dove tuttavia il tasso di mortalità è inferiore a quello italiano (dati Irtad). C’è un agenzia che dovrebbe controllare le strade scassate (Ansfisa) ma che ai convegni dice sempre la stessa cosa: «Noi facciamo delle verifiche sistematiche e a campione,
ma non bastano, servono investimenti». Per ora gli investimenti riguardano il numero di autovelox maggiore d’Europa: 11.130 (in Germania 4.700, in Francia 3.780) con incassi da follia. In dati ci sono, ne citiamo uno solo: a Cavallino (Lecce) hanno piazzato un autovelox sulla statale 16 e le entrate comunali sono passate da zero (2021) a 2 milioni e mezzo di euro (2022) su una tratta, come spesso succede, considerata non a rischio. Tra l’altro ci sono molti guidatori che non credono neppure che gli autovelox siano in funzione (ciò ha rilevato l’Asaps, portale della sicurezza stradale) perché il Paese ridonda di cartelli che paventano un «controllo elettronico della velocità» che spesso non è mai esistito, e il cui fantasma è però considerato un deterrente: lo Stato racconta bugie per il nostro bene, sinché, classico, non gli crediamo più. Ogni volta che appare il cartello dell’autovelox la scena è la stessa: uno rallenta, l’altro accelera, c’è, non c’è: siamo all’indovinello di Stato.