I prezzi oscillano tra i 4.500 e i 10.000 dollari a testa. Metà del prezzo subito, il resto arrivati in Egitto. Dopo la guerra, la fuga da Gaza è diventato un vero e proprio business che lucra sulla disperazione. Dove più disperazione si traduce in tariffe più redditizie. E solo chi è disposto a pagare di più si salva.
Prima, il processo formale e gratuito per uscire dalla Striscia – riporta OCCRP – prevedeva la registrazione di una richiesta presso il ministero degli Interni gestito da Hamas. Per le approvazioni, si aspettavano dai due mesi in inverno ai sei mesi in estate. Una volta ottenuto il permesso, però, il passaggio in Egitto non era automatico. Le autorità egiziane potevano sempre fare qualche storia, respingendo i palestinesi oltre il confine. Così, pagarsi il pass ha cominciato ad essere un’opzione, che ha alimentato un traffico gestito da una rete di intermediari, agenzie, broker indipendenti, agenti vari.
A monopolizzare il business è stata l’Hala Consulting and Tourism services, un’agenzia di viaggi basata al Cairo, con una sede a Rafah (città-valico tra la Striscia e l’Egitto) e almeno sette agenti ingaggiati a Gaza. Dal 2019, l’azienda offre anche un servizio VIP chiamato “coordinamento” o “tanseeq” in arabo, per ottenere entro 48 ore il permesso di attraversare il confine a bordo di pulmino o auto privata climatizzata, dopo aver “goduto delle comodità” della sala d’attesa “Hala” al valico di Rafah munita di servizio di ospitalità, accoglienza VIP e connessione internet compresi. Tutto per circa 1.200 dollari.
Questo prima del 7 ottobre. Dopo, i prezzi sono lievitati in un continuo gioco al rialzo. Adesso, per ottenere un permesso valido si devono sborsare tra i 4.500 e i 10.000 dollari a persona. Per i titolari di passaporto straniero la tariffa scende a 3.000 dollari, mentre per chi ha nazionalità egiziana bastano tra i 650 e i 1.200 dollari. Se prima del conflitto era solo un’opzione per accorciare i tempi, ora comprarsi il via libera per l’Egitto è l’unica via di fuga dalla Striscia.
Il processo ufficiale di registrazione gestito da Hamas è saltato e a procurare i pass ci pensa una variegata galassia di agenzie di viaggio e broker indipendenti dalle credenziali e dai contatti con le autorità egiziane (che rilasciano i permessi) non sempre affidabili. La più accreditata è ancora l’Hala Consulting and Tourism services, che promuove i suoi servizi di “travel” soprattutto mezzo social. Anche perché il sito web dell’agenzia, che ha il proprietario del dominio (registrato da Tempe in Arizona) coperto, risulta bloccato. Scorrendo i post su Instagram o Facebook, si trovano i contatti telefonici degli agenti, la mail per prenotare il via libera per l’Egitto, le indicazioni su aperture e chiusure delle prenotazioni e sulla modalità per richiedere i rimborsi in caso di cancellazione.
La procedura di “reservation” – promettono – è semplice. Basta contattarli alla mail indicata per le prenotazioni. La risposta dell’agenzia – lo abbiamo verificato fingendoci interessati all’acquisto di un pass – è quasi immediata. Ci vengono richiesti il nome del viaggiatore a cui intestare il permesso e quello della persona che prenota e paga. Per il saldo, anticipato, – ci scrivono – verremo messi in contatto con la sede centrale del Cairo.
Dal 7 ottobre “la parte palestinese – ha dichiarato un agente di Hala a OCCRP – non ha più nulla a che fare con il rilascio dei permessi. È puramente un’operazione dell’intelligence egiziana”. Qui entrano in gioco due fattori. Uno: la prassi – documenta da un report che ci ha fornito Ahmed Benchemsi, direttore delle comunicazioni regionali di Human Rights Watch – di pagare tangenti ai funzionari egiziani che controllano il confine per assicurarsi un’autorizzazione. Due: il legame delle autorità statali e dell’establishment dell’intelligence del Cairo con l’Hala Consulting and Tourism services, i cui agenti sono in gran parte ex militari egiziani.
Dietro l’agenzia Hala c’è un importante uomo d’affari del Cairo in rapporti diretti con il presidente, Abdel-Fattah al-Sisi: Ibrahim Al Organi, capo della tribù dei Tarabin nel deserto del Sinai al confine con Israele, dove collabora con l’esercito egiziano e i servizi di sicurezza impegnati contro l’Isis. Al Organi, però, è anche titolare di una serie di società che vantano partnership statali. Oltre all’agenzia di viaggi Hala, del Gruppo Organi fanno parte altre sette aziende operanti in vari settori: dall’immobiliare all’edilizia, al calcestruzzo, ai trasporti, fino all’export e alla manutenzione.
Tra queste spicca la Misr Sinai, controllata – come dichiarato da Organi – con il 51% delle azioni dalla National Services Projects Organization (NSPO), il braccio industriale del ministero della Difesa. Nella joint venture rientrerebbero anche due società di proprietà del General Intelligence Service, il principale servizio segreto egiziano. Non solo. Organi, uno dei pochi imprenditori in grado di esportare prodotti a Gaza dall’Egitto, possiede la società Abnaa Sinai Construction, che ha un contratto esclusivo per gestire la ricostruzione nella Striscia. Una prova ulteriore della facilità di manovra a Gaza del Gruppo Organi e del legame a doppio filo con i centri del potere in Egitto.