Rabbia senza frontiere, quella degli agricoltori dell’Ue. Ma con le idee ben chiare. E ragioni solide. Di chi si alza alle 5 del mattino e lavora 7 giorni su 7. Ma per cosa? Per amore della terra, quello vero, sporco di letame che nutre ognuno di noi, dicono: a cui invece la Commissione europea negli anni ha anteposto un burocratico rispetto dell’ambiente, artefatto, che funziona solo sulla carta, specialmente in un mondo interconnesso e globalizzato; in cui l’Ue s’è data regole stringenti in casa – imponendole alla categoria più debole, piccole imprese a gestione familiare – senza pretendere dai mercati extra-europei il rispetto dei medesimi criteri di produzione e allevamento in vigore nei 27: né sanitari, né sul benessere degli animali, invece sotto stretta sorveglianza nell’Ue. Altrimenti sono multe, sequestri, sospensione delle attività.
In nome del suolo e della riduzione delle emissioni, la transizione ecologica – che nessuno nega, tanto meno agricoltori che si dicono i primi ecologisti sul pianeta – fu decisa nel 2019. «Dalla fattoria alla forchetta», era uno degli assi centrali del Green Deal. In mezzo sono invece cresciute «centrali d’acquisto» spesso fuori dai confini nazionali; in Belgio, Olanda e Spagna le principali. Zone grigie nel cuore d’Europa che permettono alla grande distribuzione di aggirare leggi come la francese «Egalim» che dovrebbe garantire ai produttori un prezzo giusto. Non ha funzionato, ma si vorrebbe ora replicarla per tutti i 27, con più controlli: vero nervo scoperto.
In Italia si è arrivati al radicchio pagato 30 centesimi e venduto a 3 euro nei supermercati. Dov’è l’Ue? I «trattori» chiedono rispetto. Non solo sussidi, ma fiducia e una lente d’ingrandimento su chi lucra; aiuti celeri in caso di calamità naturali o malattie degli animali. Garanzie che non richiedano pile di fogli da compilare.
L’Eliseo ha agito in casa a scoppio ritardato, e a Bruxelles Macron ha chiesto «buon senso», semplificazione. Amen, dicono gli agricoltori. Ma finora dov’era, Macron? Alla fine il conto è arrivato. E salato. I Palazzi del «cuore politico» presi d’assalto da mezza Europa. Le prefetture nell’Esagono imbrattate col sangue degli animali. Le fiamme davanti all’Europarlamento. I trattori italiani che ora puntano su Roma, se non arriveranno risposte «entro febbraio» dalla Commissione. Per tamponare, ogni governo sta agendo con misure quasi autarchiche per ridare sovranità al comparto. Cambiare quelle regole che sembravano intoccabili avrà pure un costo economico. E non secondario, sul bilancio dell’Unione. «Abbiamo commesso errori», ha ammesso il premier francese Attal sotto il pressing dei trattori. Parigi (dopo 400 milioni di agevolazioni) ha quindi sospeso momentaneamente l’obbligo di riduzione dei pesticidi (del 50 per cento entro il 2030), placando i suoi agricoltori. L’addio al piano «Écophyto» ha fatto infuriare le Ong ambientaliste. E la portavoce del governo, Thevenot, le ha zittite: «Dobbiamo abbandonare l’ecologia punitiva e passare a un’ecologia delle soluzioni». Punto.
I trattori attendono ora Bruxelles sulla concorrenza sleale extra-Ue: dal Sudamerica (carne e verdura) all’Ucraina, a cui l’Ue nel 2022 ha tolto i dazi senza paletti, e senza sapere che a guadagnarci è stato un oligarca. «Eccessi che ci destabilizzano», ha ammesso Macron, che ora fa le barricate pure sul Mercosur e non solo sui polli di Kiev a metà del costo di quelli francesi. Si prevede un freno di emergenza Ue sull’import pure su uova e zucchero. Mentre i prefetti dei 27 si candidano a diventare amici degli agricoltori e non braccio armato della burocrazia.