La risposta Usa è arrivata, una pioggia di fuoco durata circa una trentina di minuti. Nel corso della notte tra il 2 e 3 febbraio le forze americane hanno iniziato a colpire con maggiore violenza obiettivi sciiti e iraniani tra Siria e Iraq. La conferma è arrivata dagli stessi americani. Il Centcom, il Comando Centrale degli Stati Uniti, in una nota ha spiegato che nel mirino sono finiti almeno 85 obiettivi. Ad essere colpiti sono state strutture delle milizie appoggiate dall’Iran che hanno effettuato attacchi contro le truppe americane in Medio Oriente. Ma non solo. Gli strike hanno preso di mira anche la Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica dell’Iran (IRGC) che opera in quei due Paese.
Washington dà così una sua prova di forza come risposta all’attacco condotto mediante droni domenica scorsa contro un avamposto militare americano in Giordania in cui tre soldati Usa sono rimasti uccisi e più di 40 feriti. Il Centom ha anche confermato che gli attacchi sono stati condotti con diversi velivoli, inclusi bombardieri B-1B Lancer a lungo raggio partiti dagli Stati Uniti e che nei raid sono state impiegate “più di 125 munizioni di precisione”. Sempre secondo il Comando americano le strutture prese di mira includevano centri di comando e controllo, centri di intelligence, depositi di razzi, missile e veicoli senza pilota, ma anche strutture logistiche varie e snodi di fornitura di armi che collegavano le milizie alle forse iraniane. Un funzionario americano ha confermato ad Nbc News che tra le varie strutture colpite in Iraq ci sarebbero anche tre case utilizzate dal gruppo Kata’ib Hezbollah, la milizia dell’asse della resistenza responsabile dell’attacco che ha ucciso i soldati Usa in Giordania.
Iran’s Islamic Revolutionary Guards Corps (IRGC) Quds Force and affiliated militia groups continue to represent a direct threat to the stability of Iraq, the region, and the safety of Americans. We will continue to take action, do whatever is necessary to protect our people, and… pic.twitter.com/Y53nvRfjjx
— U.S. Central Command (@CENTCOM) February 3, 2024
Nella nottata è arrivata anche una nota del generale Michael Erik Kurilla, comandante del CENTCOM statunitense: “La Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e le milizie affiliate, continuano a rappresentare una minaccia all’a stabilità dell’Iraq, ma anche della regione e soprattutto della sicurezza degli americani“. Il segretario della Difesa Lloyd Austin ha poi rincarato la dose spiegando che questo è solo l’inizio: “Il presidente ha dato ordine di intraprendere altre azioni. Queste si svolgeranno nei tempi e nei luoghi da noi scelti“. Un funzionario americano ha confermato alla Cnn che per il momento non sono previsti strike in territorio iraniano e che l’amministrazione Biden non intende colpire Teheran perché questo causerebbe una grossa escalation.
Stando a una prima analisi dell’Osservatorio siriano per i diritti umani con sede nel Regno Unito, gli attacchi degli Stati Uniti in Siria avrebbero provocato la morte di almeno 18 combattenti allineati con l’Iran. La notizia è arrivata da Al Jazeera che ha però spiegato di non aver potuto confermare in modo indipendente il bilancio. I funzionari militari statunitensi non hanno fornito un bilancio stimato delle vittime, ma hanno affermato che gli attacchi hanno provocato dei morti.
Molto forti le prime reazioni che arrivano da Teheran e sopratutto Baghdad. Fonti iraniane hanno detto ad Al Jazeera che in Siria non sono presenti basi della Guardia Rivoluzionaria o della Brigata al-Quds nei settori colliti dagli Americani: “Le affermazioni sugli attacchi ai pasdaran in Siria sono irrealistiche. Il bombardamento Usa è un’aggressione esplicita e dichiarata contro la Siria e l’Iraq e colpisce la stabilità regionale“. Dello stesso tenore anche le parole di Yahya Rasool, portavoce dell’esercito iracheno riportate dall’agenzia russa Tass: “Gli attacchi sulle zone di confine irachene costituiscono una violazione della sovranità del paese e potrebbero avere conseguenze orribili”. Rasool ha spiegato che i raid potrebbero “trascinare l’Iraq e l’intera regione in una situazione con conseguenze impreviste e terribili“.