Alla fine la risposta degli Stati Uniti è arrivata. Puntuale e precisa. Nella notte, infatti, sono stati colpiti numerosi obiettivi, in Iraq e in Siria, usati come basi da alcune milizie appoggiate dall’Iran. Nei giorni scorsi, era stato il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, ad affermare che gli Usa erano pronti ad agire su più livelli per rispondere all’attacco che, lo scorso 28 gennaio, ha ucciso tre soldati americani in Giordania. In quell’occasione, Austin aveva anche detto che gli Usa si riservavano il diritto di condurre molteplici attacchi. Che ora sono arrivati. Gli obiettivi principali degli Stati Uniti – almeno 85 secondo le prime stime diffuse dal Pentagono – non sono solo i depositi di munizioni e i centri di addestramento dei combattenti filo iraniani, ma anche quelli di comando. In particolare sono state colpite le menti della milizia irachena Harakat Hezbollah al Nujaba in Iraq e del gruppo armato a guida iraniana Liwaa Fatemiyoun in Siria. In una nota diffusa dal Comando centrale degli Stati Uniti si legge che «le strutture colpite includevano sezioni di comando e controllo, centri di intelligence, razzi e missili, depositi di veicoli aerei senza pilota, strutture logistiche e della catena di approvvigionamento di munizioni di gruppi di milizie e dei loro sponsor dei Guardiani della Rivoluzione che hanno facilitato attacchi contro le forze statunitensi e della coalizione». Nei raid sono stati impiegati numerosi aerei tra cui bombardieri strategici a lungo raggio che hanno usato più di 125 munizioni di precisione. Gli attacchi sarebbero iniziati subito dopo che il presidente americano Joe Biden ha incontrato i familiari dei soldati uccisi in Giordania. Da quando è scoppiata la guerra tra Israele e Hamas, i combattenti sostenuti da Teheran hanno compiuto oltre 170 attacchi contro le basi americane in Medio Oriente. Attacchi che Washington non vuole più tollerare. Anche perché, complice la guerra in Siria, l’influenza dell’Iran in Medio Oriente è aumentata. La cosiddetta mezzaluna sciita è rinata: Hezbollah e Pasdaran, oltre a sostenere il presidente Bashar al Assad, hanno combattuto per anni contro i jihadisti dell’Isis e di Al Nusra e pure contro i ribelli più o meno moderati. Hanno imparato ed elaborato nuove tecniche di guerra e di guerriglia, che ora sono pronti a mettere nuovamente in pratica.
Quello di questa notte potrebbe essere solamente l’inizio di un’operazione più ampia volta a contenere le milizie filo iraniane. Che non comprende solo Iraq e Siria, ma anche lo Yemen. Sempre ieri, forze britanniche e americane hanno condotto tre attacchi nella provincia settentrionale di Hajjah, una roccaforte degli Houthi.
«Non cerchiamo una guerra con l’Iran. Non stiamo cercando un conflitto più ampio in Medio Oriente», ha detto lunedì alla Cnn John Kirby, coordinatore delle comunicazioni strategiche per il Consiglio di sicurezza nazionale. Nonostante le rassicurazioni, il rischio che il conflitto si estenda c’è ed è reale. E potrebbe aprire un nuovo fronte della Terza guerra mondiale a pezzi di cui ha più volte parlato papa Francesco.