Se le vittorie rapiscono l’età più bella di un ragazzo

Se le vittorie rapiscono l'età più bella di un ragazzo

Sul trionfo di Sinner cade una goccia di tristezza. È lui stesso a farla scivolare, ma con semplice naturalezza. Non è un’accusa ai genitori o una recriminazione sulla vita, ma è un semplice dato di fatto, una constatazione. Amara, per carità, ma già elaborata. Nei 22 anni del campione italiano c’è anche, forse soprattutto, questo: la consapevolezza di aver perso l’adolescenza unita alla certezza che non potrà mai riaverla. Saper lasciare andare: è lì la chiave. Sia per chi, come Jannik, va via di casa a 13 anni, sia per chi, come i suoi genitori, ha la forza di rinunciare a un figlio. Perché di questo si tratta: la rinuncia è il sacrificio per far sì che il talento si unisca all’abnegazione; una concessione di libertà nella privazione. «Per un genitore lasciare andare un figlio così presto non è facile. Ci siamo persi molte cose che sto cercando di recuperare con mio papà, che ogni tanto mi accompagna ai tornei. Ma l’adolescenza è persa». Quelle di Sinner sono parole che colpiscono il cuore, forti come un ace a 200 chilometri orari. L’assenza è il prezzo da pagare. Come Marcel, il protagonista del romanzo di Proust, il giovane re di Melbourne sembra ancora alla ricerca del tempo perduto, sebbene sia certo che non possa tornare. Perché invece delle gite nel villaggio francese di Combray ci sono gli allenamenti, invece dei pranzi di famiglia ci sono quelli scanditi dal piano alimentare, invece dei compagni di scuola ci sono i viaggi, le racchette e le palline da colpire ancora, ancora e ancora. Il sacrificio e il duro lavoro surclassano gli abbracci e le più semplici emozioni. Vale per tutti gli sport e per tutti gli atleti. La mente è quella che conta di più, dicono quelli bravi. E lo è soprattutto nel tennis, componente fondamentale per vincere la sfida più ardua: quella con se stessi. A quell’età conta solo il sudore. Gocce anche quelle. A quell’età il tempo scorre veloce semplicemente perché non c’è il tempo di fermarsi. Neanche per concedersi alla solitudine.

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