“Non lavorerò più in carcere”. L’ira della psicologa della Pifferi indagata

"Non lavorerò più in carcere". L'ira della psicologa della Pifferi indagata

L’ombra dell’inchiesta “spin off” sull’omicidio di Diana Pifferi – la bambina di 16 mesi, lasciata da sola per 6 giorni dalla madre Alessia Pifferi e morta di stenti – ha dato vita a un dibattito parallelo. Che ha naturalmente coinvolto le due psicologhe del carcere di San Vittore, che, in autonomia, somministrarono dei test alla donna a processo per la morte della figlia e per questo sono al momento sotto indagine.

Il legale di una delle professioniste, Mirko Mazzali, ha affermato all’Adnkronos di tutelare l’operato di una persona che “per 30 anni ha lavorato nelle carceri e ora si è vista rovinata”: “La magistratura è intervenuta a gamba tesa sull’attività professionale di due psicologhe e anche sul comportamento di un avvocato e questo è preoccupante. Mi pongo un problema più da cittadino che da avvocato: se le psicologhe hanno sbagliato un test è un reato? Se l’avvocato gioisce per una consulenza è reato? Per me no e questo è il tema di questo caso”.

Le due psicologhe infatti, durante il periodo di detenzione di Alessia Pifferi, dopo averle somministrato dei test, diagnosticarono alla donna un deficit cognitivo, ma ora sono indagate per falso e favoreggiamento, insieme con la legale di Pifferi Alessia Pontenani. Anche se i pm al lavoro sul caso si trovano in una situazione di “mancato accordo”, tanto che Rosaria Stagnaro ha chiesto la revoca della co-assegnazione del fascicolo coordinato con Francesco De Tommasi, che non avrebbe portano a conoscenza la collega dell’inchiesta “spin off”.

Una delle due psicologhe ha affidato il proprio sfogo a una lettera indirizzata ai vertici di San Vittore, dopo la sua sospensione “per motivi di opportunità”: “lo credo che la verità verrà a galla insieme alla mia più totale innocenza e buona fede perché credo che la magistratura farà un lavoro serio e secondo i principi costituzionali di giustizia. lo sono innocente su tutta la linea. Il mio sentimento però ora è di fortissimo dolore e annientamento”. Le indagini cercano di capire se in qualche modo questa situazione abbia potuto contribuire a una strategia processuale sbilanciata sulla difesa di Pifferi.

La professionista, che ha deciso di non lavorare più in carcere, afferma inoltre di sentirsi umiliata e di aver dato la vita per San Vittore. “Ora – si legge ancora nella missiva – quello che mi sta accadendo lo vivo con angoscia a stupore allo stesso tempo. Sono affranta e basita. Sono riusciti a spaventarmi e umiliarmi per motivi che fatico a comprendere. La perquisizione a casa che ha coinvolto la famiglia è un trauma personale. Ma trascinarmi a San Vittore dalla porta carraia come i detenuti, scortata a vista, messa in una situazione dove tutti hanno potuto osservare la scena, agenti, detenuti, colleghi, questo ha avuto il solo scopo di umiliarmi”.

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