«Marie Curie è donna, figlia di una nazione oppressa, povera, bella. Una vocazione potente la costringe a lasciare la sua patria, la Polonia, per andare a studiare a Parigi, dove vive per lunghi anni in solitudine e difficoltà. Poi, incontra un uomo. È un genio come lei. Lo sposa e la loro felicità è unica. Insieme, attraverso uno sforzo accanito e allo stesso tempo arido, riescono a isolare un elemento magico, il radio. La loro scoperta non solo dà origine a una nuova scienza e a una nuova filosofia, ma offre agli uomini il modo di guarire una malattia terribile. Proprio quando sono all’apice della gloria e la loro fama si sta diffondendo in tutto il mondo, la tragedia colpisce Marie: all’improvviso la morte le porta via il meraviglioso compagno della sua vita. Nonostante abbia la disperazione nel cuore e il fisico minato da diversi mali, porta avanti da sola l’opera intrapresa col marito, e imprime un meraviglioso sviluppo alla scienza creata in collaborazione con lui. Il resto della sua vita non è altro che un continuo donare».
Quello che scrive Ève Curie, secondogenita di Marie e Pierre, nel suo Vita della signora Curie (Rizzoli Bur) è un ritratto certamente «di parte», eppure niente affatto esagerato. Il libro di Ève, che uscì nel 1937, fu un bestseller: all’epoca Maria Salomea Sklodowska era morta da tre anni ed era una celebrità assoluta del mondo della scienza, insieme al suo amico Albert Einstein. Per le sue scoperte sui fenomeni radioattivi, per la sua dedizione alla causa che l’aveva portata a esporsi fino alla morte alle radiazioni e per i due premi Nobel, il primo ricevuto per la Fisica con il marito Pierre nel 1903 e il secondo nel 1911, per la Chimica, che basterebbero da soli a riservarle un posto unico nella storia: prima donna a ricevere il riconoscimento in una disciplina scientifica e unico caso di vittoria in due ambiti scientifici differenti.
Era nata a Varsavia il 7 novembre del 1867 e, fin da piccola, si era dimostrata un prodigio a scuola. Però nel suo Paese, allora sotto la Russia zarista, non avrebbe potuto studiare: così, seguendo la sorella (amatissima) Bronia, era andata a Parigi. Alla Sorbona, le donne erano ben poche, ma Marie (aveva cambiato il suo nome alla francese) era la più brava del corso di Fisica e si laureò anche in Matematica; dopo la morte di Pierre, che nel 1906 fu travolto da una carrozza in campagna, la cattedra di Fisica passò a lei, prima donna a detenere l’incarico alla Sorbona. Insomma, nonostante gli anni trascorsi in capannoni umidi, sporchi e polverosi e, soprattutto, esposti alle radiazioni, anzi, proprio in virtù di quegli anni di sacrifici, molti in compagnia del marito, la stella di Marie Curie brillava luminosa. Anche se non era sempre stato così: «Marie Curie rappresenta un punto di riferimento per molti motivi, sia per l’attività scientifica, sia per le vicende della sua vita privata, che riguardano il ruolo della donna nella società» spiega Marco Ciardi, storico della scienza, professore all’Università di Firenze e autore della biografia Marie Curie. La signora dei mondi invisibili (Hoepli). La scienziata infatti era finita al centro del dibattito pubblico in due occasioni clamorose: «Ci fu una prima polemica molto forte nel 1910, quando si doveva eleggere un nuovo membro dell’Accademia delle scienze francese. Lei sarebbe stata la prima donna ed era in competizione con un candidato rispettabile, ma che non aveva i suoi titoli; alla fine l’Accademia non la premiò, ma su di lei circolarono moltissime voci: sul suo aspetto, sulla sua presunta origine ebraica, sul fatto che fosse donna…».
Nel 1911, l’anno del secondo Nobel, Marie Curie fu di nuovo protagonista sulla stampa, per uno scandalo che scoppiò al Congresso Solvay, che raccoglieva i più grandi scienziati del momento: «Lì si incontrano Marie Curie e Einstein per la prima volta – racconta Ciardi – e in quei giorni finisce sui giornali la relazione di Marie con Paul Langevin, uno scienziato allievo del marito, che però era sposato e aveva quattro figli… E così, da grande scienziata, Marie Curie diventa l’immigrata polacca che arriva in Francia a rovinare le famiglie…». Einstein le mostra da subito il suo sostegno, le scrive, le dice di non ascoltare l’opinione pubblica. È un’amicizia vera: «Einstein va a trovarla a Parigi, lei va in vacanza con la famiglia di Einstein sulle Alpi. Dopo la Prima guerra mondiale sono due star della scienza: entrambi si impegnano per diffondere i valori e i principi della cultura scientifica. Per lei, la scienza deve essere libera e lo scienziato deve essere libero: infatti non ha mai voluto brevettare le sue scoperte sul radio, per consentire a tutti di fare ricerca».
È a partire da una osservazione del collega Henri Becquerel sulle radiazioni emesse da un minerale di uranio che Marie e Pierre iniziano i loro esprimenti e i loro studi: «Sono loro – dice Ciardi – a coniare il termine radioattività. Marie Curie era molto determinata, ostinata e precisa. Teneva dei diari del laboratorio, con tutti gli esperimenti e, in parallelo, un diario con tutti i progressi della prima figlia, Irène». Che a sua volta nel 1935 vinse il Nobel per la Chimica, con il marito Pierre Joliot, per la scoperta della radioattività artificiale… Fatto sta che studiando materiali simili a quello di Becquerel, i Curie trovano un minerale che emette molte più radiazioni «e capiscono subito due cose: primo, che i raggi sono collegati alle proprietà atomiche dei corpi; secondo, che dentro quel minerale non c’è solo uranio ma qualche altro elemento». Ecco che individuano prima il polonio e poi il radio: è il 1898, e la strada verso il mondo della radioattività è stata appena aperta. Marie e Pierre capiscono subito, anche, che il potenziale può essere distruttivo ma, soprattutto, benefico: «Questa nuova forma di energia poteva essere utilizzata per curare le malattie, in particolare il cancro, per i suoi effetti sulle cellule maligne». Effetti che, ancora oggi, si fanno sentire sugli appunti di Marie Curie e nell’Istituto del Radio, da lei fondato (che si era pensato di demolire, fra molte polemiche).
Quale strada dovesse seguire la scienza, per Marie Curie era molto chiaro. Durante la Prima guerra mondiale organizzò un servizio di radiografie sulle ambulanze, per curare i soldati in trincea, e si impegnò anche in prima linea. Promosse l’utilizzo in campo medico delle sue scoperte e nel 1921 si recò in «tournée» negli Stati Uniti. Fu accolta come una diva. Ma non lo fece solo per gli applausi: raccolse fondi per comprare un grammo di radio da portare in Istituto, a Parigi. Morì il 4 luglio del 1934, uccisa dalle radiazioni a cui aveva dedicato tutta la vita.