Hong Kong, la stretta sulle libertà. E salta anche la serie tv con la Kidman

Hong Kong, la stretta sulle libertà. E salta anche la serie tv con la Kidman

Perfino Nicole Kidman finisce imbavagliata nella Hong Kong dei «patrioti cinesi» fedeli a Pechino. La nuova serie «Expats» con la celebre star australiana è stata mutilata dalla censura dei suoi primi due episodi perché contenevano scene del Movimento degli ombrelli che ancora pochi anni fa portarono nelle strade di Hong Kong milioni di persone che chiedevano democrazia. Niente di sorprendente, purtroppo: nella ex colonia britannica sulla costa meridionale della Cina, tristemente «normalizzata» dopo l’entrata in vigore nel 2020 di una drastica legge sulla sicurezza nazionale, la società civile è già stata zittita a forza, i giornali indipendenti sono stati chiusi, gli attivisti e gli imprenditori non allineati sono finiti in galera e alle elezioni locali sono stati ammessi solo i candidati approvati dal partito comunista cinese. A questo punto, il divieto per gli abitanti di Hong Kong di guardarsi liberamente due puntate di una serie tv girata nella loro città sembra quasi un fatto marginale.

E forse finirà davvero con l’esserlo, perché è in arrivo ben di peggio. Il governatore John Lee, il cui compito è di eseguire gli ordini di Pechino facilitando l’omologazione della società di Hong Kong un tempo libera a quella del resto della Cina, ha annunciato l’imminente approvazione di una nuova e ancor più severa legge sulla sicurezza nazionale. Emanata dai legislatori locali, non si limiterà a punire come la precedente tuttora in vigore i quattro reati di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze straniere, ma vi aggiungerà quelli di tradimento, furto di segreti di Stato e atti digitali contro la sicurezza nazionale. Alla fine, i cittadini di Hong Kong rischieranno l’ergastolo per sette diversi tipi di reato. Lee, però, vede queste minacciose novità attraverso lenti rosee.

«Da 26 anni aspettiamo una nostra legge ha detto il governatore ai giornalisti e non si poteva attendere oltre: le minacce alla sicurezza nazionale di Hong Kong sono reali». Lee si riferisce a «idee malsane come quella sull’indipendenza di Hong Kong che ancora albergano nelle menti di alcune persone». Ma il timore assai fondato è anche che la generica definizione di segreto di Stato possa essere applicata ad attività di ricerca tuttora svolte da accademici e aziende della ex colonia in merito per esempio alla politica o alle forze armate cinesi.

Lee si è detto certo che «le lamentele di qualcuno saranno presto superate quando vedranno che la legge porterà sicurezza e stabilità, che tutti apprezzano». Chi non apprezza, del resto, sa già cosa rischia. Il governatore ha tentato di tranquillizzare assicurando che nessun arrestato in base alla nuova legge verrà processato o incarcerato in Cina, prospettiva che fa molta paura. Purtroppo, però, questo significa solo che tribunali e prigioni di Hong Kong saranno come quelli di Pechino.

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