Il grado di civiltà di un Paese è direttamente proporzionale ai modi con cui amministra la giustizia. Nel rispetto che dimostra verso i cittadini nelle procure, nei tribunali o nelle prigioni. Sono questi principi di difesa dell’uomo, della sua dignità, della sua libertà che ci rendono diversi da autarchie come l’Iran, la Cina o la Russia. In un mondo interconnesso come l’attuale dobbiamo avere rapporti con queste nazioni, magari secondo il momento anche di buon vicinato, ma non potremo mai essere loro alleati, né tantomeno federati. Saremo sempre su sponde opposte fino a quando nei loro sistemi non cambierà la concezione che hanno dell’individuo.
Ebbene le immagini che abbiamo visto dell’insegnante italiana, Ilaria Salis, in un tribunale di Budapest in Ungheria, cioè in uno Stato membro dell’Unione Europea, sono le stesse a cui assistiamo ogni giorno nei tribunali di Teheran, di Mosca o di Pechino: l’imputata incatenata ai polsi e ai piedi, tenuta con una catena come un cane al guinzaglio e scortata da agenti dei corpi speciali in mimetica. Scene inaccettabili e raccapriccianti, che fanno dubitare davvero che la capitale magiara sia un angolo d’Europa.
La Salis è da un anno detenuta in Ungheria e se questo è il trattamento a cui è stata sottoposta in quell’aula di tribunale, ci vuole poco a capire cosa le sia accaduto in undici mesi nella cella di un penitenziario di Budapest. Ecco perché il richiamo fatto dalla Farnesina all’ambasciatore ungherese in Italia non è solo giusto ma doveroso. E assume un valore particolare perché la Salis, militante anti-fascista, è accusata di aver aggredito due estremisti di destra durante un raduno neo-nazista nella capitale ungherese. Che il reclamo lo abbia presentato, quindi, un governo guidato da un premier di destra come Giorgia Meloni e sostenuto da una coalizione di destra-centro assume ancor maggior valore perché il garantismo non deve avere colore, il rispetto dei diritti dell’individuo deve essere un principio universale. In Italia siamo tutti figli di Cesare Beccaria. Certo non è sempre stato così, anche da noi il rispetto dei diritti è stato spesso coniugato con le convinzioni ideologiche dell’avversario: l’ immagine di Enzo Carra, l’allora portavoce del segretario della Dc Arnaldo Forlani, tradotto in manette nell’aula di Tribunale di Milano e consegnato al pubblico ludibrio, resterà una macchia (purtroppo non la sola) di Tangentopoli, di come in quel periodo furono calpestati i diritti di tanti imputati. Un ricordo di ieri che è un monito per il presente perché il credo ideologico non deve mai trasformarsi in un elemento di persecuzione. Una memoria che bisogna aver ben presente oggi che si discute tanto (ma ancora senza fatti) di riforma della giustizia.
Ma il discorso in questo caso investe l’Europa. Ci sono sanzioni per chi viola le regole economiche, bancarie, di concorrenza e via dicendo, ma l’Unione farebbe bene anche ad occuparsi dei diritti degli imputati. Anche noi come Paese ci siamo andati di mezzo, ma quando le violazioni sono così plateali davanti alle telecamere e all’opinione pubblica, allora l’intervento di Bruxelles o della Corte dei diritti dell’Uomo deve essere intransigente e perentorio. Anche perché l’Unione europea se davvero vuole trasformarsi in una federazione deve esprimere in tutti gli Stati che la compongono gli stessi principi giuridici. Dato che quell’obiettivo, semmai sarà raggiunto, è in discussione duecentocinquanta anni dopo gli Stati Uniti, sarebbe bene evitare di seguire il loro esempio visto che da quelle parti ci sono Stati con la pena di morte e altri no. E la compattezza di una federazione è determinata anche dalla condivisione dello stesso grado di civiltà giuridica.
Non è la prima volta che l’Ungheria si distingue: lo ha fatto sugli aiuti all’Ucraina dimostrando di subire il fascino di Mosca. Allora sia ben chiaro che non sta scritto da nessuna parte che l’Unione debba essere formata da 27 paesi. Se qualche nazione ha una visione diversa dei diritti rispetto al resto d’Europa, può accomodarsi fuori. Non è la Ue ad avere bisogno dell’Ungheria, semmai il contrario tenuto conto che chi ne è uscito, vedi l’Inghilterra, si è già pentito. Per cui ogni nazione può rivendicare una sua autonomia, ci mancherebbe altro, ma non certo su un tema delicato come i diritti dell’imputato questione che riguarda tutti visto che siamo tutti – lo ricordo ora che mancano pochi mesi alle elezioni per il Parlamento di Strasburgo – cittadini d’Europa.