L’appello di Elly Schlein a tutte «le forze politiche di opposizione» per riunirsi il 7 febbraio davanti alla sede Rai ha sortito l’effetto opposto. Nessun campo largo contro «TeleMeloni», il Pd dovrà farsi il sit-in a Viale Mazzini da solo. Di più, la fuga in avanti della segretaria ha irritato gli altri leader del centrosinistra, che nell’iniziativa della Schlein hanno visto il tentativo di intestarsi la battaglia contro la Rai meloniana. Scatenando un tutti contro tutti, altro che fronte compatto. Tra i dem si temeva questo esito. «Queste cose si organizzano parlandosi, confrontandosi, insieme. Non lanciando una iniziativa e poi invitando gli altri partiti a partecipare», è il ragionamento. Tanto più che il M5s di Conte non ha nessuna intenzione di sposare la crociata contro la Rai, dove invece ha incassato poltrone, direzioni e conduzioni per i suoi protetti. Il primo a sfilarsi è infatti il M5s, che guida la commissione di Vigilanza Rai. La presidente della commissione, la grillina Barbara Floridia, va in direzione opposta al Pd di fatto fa da sponda al governo: «La pressione politica e partitica sulla Rai non è un fenomeno che nasce con Giorgia Meloni, ma è radicato nei decenni», e il Pd l’ha praticato come pochi. Poi arriva Conte con il rullo compressore: «No, caro Pd, il 7 febbraio noi non ci saremo. Basta ipocrisie, non sarà facile eguagliare il record dei servizi accortamente confezionati negli anni per soffiare il vento del consenso a favore del Pd. Non ci sembra risolutivo né credibile un sit-in lanciato da un Pd che finge che la governance Rai è assoggettata al controllo del governo, grazie alla riforma imposta dal Pd renziano nel 2015» è la letterina al veleno firmata dal leader M5s, un doppio attacco al Pd e a Renzi, segretario dem (e premier) all’epoca della riforma della governance di Viale Mazzini. Dal Pd si dicono «sorpresi» dalla posizione tranchant di Conte, indeciso se tifare Biden o Trump ma molto deciso a non sostenere la protesta contro la Rai insieme al Pd «Spiace leggere anche oggi alcune dichiarazioni di Giuseppe Conte. Siamo sinceramente sorpresi che il Pd sia diventato l’oggetto delle sue polemiche strumentali» scrivono in una nota i capigruppo dem di Senato e Camera, Francesco Boccia e Chiara Braga. «Per noi, per il Pd, l’avversario da battere resta questa maggioranza e il governo di Giorgia Meloni». Non è invece per nulla sorpreso il leader di Italia Viva: «Conte è uomo senza dignità, è il più incredibile trasformista italiano. Se ritiene che la riforma della Rai del 2015 fosse sbagliata, perché l’ha utilizzata per fare le nomine quando è toccato a lui governare?» chiede Renzi. Alla rissa si aggiunge Carlo Calenda, che sente direttamente al telefono Elly Schlein per spiegarle che neppure Azione ci sarà, prima di sfotterla dandole della ragazzina ingenua: «Io i sit-in li facevo a 14-15 anni, noi siamo pagati per fare proposte, non per tornare a percorsi pre-adolescenziali». La proposta è quella di un testo di riforma della Rai «sul modello della Bbc» (non una novità) da condividere con i partiti di opposizione. Anche il M5s propone un tavolo di riforma in Vigilanza per discutere «una legge organica di riforma della Rai che parta dalla prossima legislatura». Il Partito Democratico, al momento, ha una proposta di Andrea Orlando che, tra le altre cose, affida a una fondazione la proprietà e la scelta delle strategie e dei vertici della Rai. Ma il vero scoglio sono le rivalità tra i partiti di opposizione, che – come temono molti dem – non potranno che aumentare di qui alle elezioni di giugno.