“Io e Jannik figli dell’Alto Adige. Ma 50 anni dopo è un’altra storia”

"Io e Jannik figli dell'Alto Adige. Ma 50 anni dopo è un'altra storia"

Gustav, uno di noi: inchiodato per ore alla tv, come non aveva mai fatto per nessuno sport. Jannik Sinner ha un tifoso in più: è Gustav Thoeni che, a 72 anni, dopo un’operazione all’anca, superata rimettendo subito gli sci sulle nevi della sua Trafoi, per racchette e volée ora ha quasi un rimpianto…

Sinner scia: lei come se la cava col tennis?

«Ho fatto il manovale per costruire i campi da gioco di Prato allo Stelvio: di più non mi fecero fare, avrò palleggiato si è no 10 ore, però da allora i ragazzi di qui possono scegliere quale sport fare. Io potevo solo sciare».

Lei ha fatto la scelta giusta, Sinner invece ha lasciato lo sci…

«Ha fatto bene anche lui, direi! Io sono nato nel posto perfetto per lo sci: avevo a due passi anche lo Stelvio per allenarmi in estate. Sinner, invece, per il tennis ha fatto da subito sacrifici anche se i ragazzi delle montagne oggi hanno più possibilità di me di poter scegliere sport diversi».

Sci e tennis: similitudini e differenze…

«Vero, sono meglio – erano discipline stagionali. Nello sci al minimo errore perdi la gara che dura pochi minuti; nel tennis devi resistere ore. Sono sport diversi, ma richiedono qualità simili: concentrazione e dedizione».

Gustav e Jannik: due figli dell’Alto Adige, stessa riservatezza, stessi valori in un Paese un po’ diverso. A lei italianizzarono il nome, non succederà a lui?

«No, non credo. I tempi sono cambiati. L’Italia è molto più globale oggi e l’Alto Adige non è quello degli anni ’70. Mi ritrovo nella sua compostezza, ammiro il suo talento, forgiato nella libertà di scegliere. La mia e la sua famiglia con un albergo da gestire. Lui è andato via presto, Liguria, poi all’estero. Io tornavo sempre qui, ma vedevo mio papà solo su allo skilift e sono cresciuto con le zie sempre impegnatissime».

Da un piccolo paese di montagna siete stati capaci di fermare il mondo che, oggi più che mai, ha bisogno di buone notizie e belle storie: anche in questo siete simili?

«Questo sì, e aggiungerei anche che siamo stati capaci anche di trascinare una squadra accanto a noi, come si è visto in Coppa Davis. La differenza è che ai nostri tempi c’era solo la Rai anche se lo sci ebbe da subito molta più visibilità di quella che ha avuto in certi periodi successivi al mio. Oggi, invece, ci sono molte più Tv, il web. Lui ha i social, io non avrei saputo come gestirli. Mi sembravano già troppe le lettere che ricevevo! Zia e cugina scendevano alla posta del paese col cestino grosso per riempirlo. Poi me ne leggevano qualcuna, loro rispondevano e io autografavo pile di cartoline».

Il suo grande slam?

«Son stati tanti: il doppio oro mondiale a Sankt Moritz, proprio 50 anni fa, e poi tutte le coppe del Mondo che consacrano uno sciatore come accade con un torneo, ma anche la festa che abbiamo appena fatto per la valanga azzurra e la top five di Berchtesgaden: organizzata al volo in due settimane, sono venuti tutti!».

Fra i consigli per sopravvivere alla popolarità, su Sanremo che dice?

«Sanremo è importante ed è stato bello andarci, ma io l’ho fatto molto dopo la fine della carriera!».

Nicola Pietrangeli ha detto che Sinner non deve cambiare nulla, soprattutto il carattere: concorda?

«Sì, e non credo lo cambierà: mi sembra molto centrato, concreto. Gli auguro di mantenere anche l’entusiasmo. Una cosa gliela consiglio, anche se alla sua età non l’avevo capita…».

Quale?

«Di imparare dalle sconfitte che inevitabilmente arriveranno. Da giovane, mi arrabbiavo. Da allenatore ho poi capito molto di quello che non funzionava quando perdevo».

Lei, invece, il carattere lo ha cambiato?

«Si, quando ho smesso di gareggiare. Parlo molto di più, non rispondo più a monosillabi come dite voi giornalisti, anche perché mi fate meno domande! Anche se in queste settimane, devo dire grazie a Jannik, sono tornato di moda!».

Leave a comment

Your email address will not be published.