«Israele ha dato il suo via libera, a Parigi, a un accordo quadro per la liberazione degli ostaggi», è la notizia che rimbalza a ogni angolo del mondo nel pomeriggio di ieri, ma perché la bozza si concretizzi in un’intesa mediata fra Hamas e Israele potrebbe volerci più tempo di quanto sperino gli israeliani rapiti e i palestinesi nell’inferno di Gaza. «Ci sono progressi», ma la strada «è ancora lunga», confermano funzionari israeliani. Accordo «più vicino che mai», ma non imminente, spiegano dalla Casa Bianca.
L’intesa di massima, mediata in Francia fra Israele, Stati Uniti, Egitto e Qatar e discussa ieri dal Gabinetto di guerra israeliano prevederebbe «pause a fasi», con il rilascio graduale dei rapiti, a cominciare da donne e bambini. I capi del Mossad e dello Shin Bet, secondo indiscrezioni, avrebbero spiegato che Israele sarebbe flessibile sulla lunghezza della tregua, sul numero dei prigionieri rilasciati e sulla quantità di aiuti umanitari per Gaza. Altri media riferiscono di un’intesa basata, in una prima fase, su 45 giorni di tregua, in cambio di 35 ostaggi. E fra i 100 e i 250 palestinesi scarcerati in cambio di ogni rapito.
Di fronte al susseguirsi di voci, è l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu a mettere un argine. Non nega il via libera all’intesa ma precisa che «i resoconti non sono corretti e includono condizioni non accettabili per Israele». «Continueremo fino alla vittoria totale». Il principio sottinteso è quello declamato in più occasioni: non si parli di fine del conflitto perché Israele non intende proclamare un cessate il fuoco definitivo.
La bozza di intesa c’è, dunque, e anche se sui dettagli non ci sono certezze e la distanza con Hamas su un punto chiave sembra incolmabile. Dopo il via libera di Israele, la parola passa al gruppo terroristico. «Speriamo reagiscano positivamente e decidano di negoziare in maniera costruttiva», commenta il premier del Qatar, Al Thani. Ma Hamas sembra irremovibile: non ci sarà intesa senza un cessate il fuoco definitivo nella Striscia di Gaza, ha ribadito ieri, prima di ricevere la bozza. I terroristi continuano a chiedere lo stop al conflitto, mentre nascondono un centinaio di ostaggi (una trentina sono morti). Ed è su questo che le posizioni sembrano inconciliabili. Israele non intende mettere fine alla guerra senza aver prima «sradicato» Hamas. E Hamas non intende liberare gli ostaggi senza la fine della guerra.
Più delle dichiarazioni, parlano le armi. Hamas ha lanciato ieri 11 razzi dalla Striscia di Gaza contro Tel Aviv e il centro di Israele. Non succedeva da oltre un mese, nonostante l’offensiva israeliana continui, dopo il nord, a picchiare durissima su Khan Yunis, nel sud, dove l’Idf ha fatto irruzione negli uffici del capo di Hamas, Yahya Sinwar. L’esercito ha anche mostrato mappa e video di un nuovo tunnel scoperto sotto a un cimitero nel cuore della città. Dopo gli asili e gli ospedali, anche i cimiteri. Un’altra ragione perché la guerra non si fermi, secondo Israele, nonostante Hamas parli di 27mila vittime palestinesi. Anche per questo un gruppo di israeliani al valico di Kerem Shalom ha nuovamente tentato di bloccare i camion di aiuti diretti alla Striscia. «No fuel to Hamas», «niente carburante a Hamas» è lo slogan per dirsi contrari alla consegna di sostegni prima del rilascio di tutti gli ostaggi.
Eppure la guerra, prima o poi, dovrà finire. Sul futuro di Gaza, a Riad ci sarebbe stato un incontro segreto fra Anp, Arabia saudita, Egitto e Giordania, riferisce Axios. «Preoccupati» si dicono invece gli Stati Uniti dopo la conferenza sul reinsediamento a Gerusalemme a cui hanno partecipato 12 ministri del Likud di Netanyahu e dell’estrema destra, alla presenza di migliaia di nazionalisti religiosi, per discutere di come colonizzare la Striscia.