“Ce sta ‘o mar for”. Dentro al carcere che ha ispirato la fiction

"Ce sta 'o mar for". Dentro al vero carcere che ha ispirato la fiction

La minorenne rom che cerca di sfuggire al matrimonio forzato. Le sfide social in cui ci scappa il morto. La violenza della camorra (con un’aggressione in pronto soccorso tra le varie facce). Le aggressioni con l’acido sulle donne. Un abuso sessuale commesso da un insospettabile ragazzino di buona famiglia. La malattia mentale. La sottrazione di minore da parte di un genitore. Di questi temi di attualità – conditi con storie fictional di amori adolescenziali e non solo – parla Mare Fuori, la serie Rai ambientata in un fittizio Istituto Penale per Minorenni (Ipm) di Napoli. Quello che non tutti sanno è che quell’Ipm fittizio si ispira a uno reale, quello di Nisida.

L’Ipm di Nisida si trova sull’omonimo isolotto nei pressi di Napoli. È una realtà interessante, una realtà che racconta soprattutto di volontà di riabilitazione e di reinserimento, come per tutti gli Ipm – ed è qui che la serie Rai esce dalla fiction per svelare una verità forse poco nota. “Non ho visto Mare Fuori – spiega a IlGiornale.it Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone e coordinatrice dell’osservatorio minori – quindi non mi posso pronunciare in merito. Tuttavia credo, in linea generale, che più si parla del carcere e meglio è, ma bisogna parlarne in maniera corretta”.

In altre parole, serve più informazione. “Perché il rischio è che il carcere diventi il luogo del rimosso, del dimenticato, e quando questo accade a dei minori è anche peggio, perché i minori rappresentano il futuro della società. Il carcere ha un grandissimo bisogno di essere incluso nei nostri pensieri e nei nostri di scorsi, essere trattato come un pezzo di società, perché è ciò che è. Deve essere aperto allo sguardo sociale e all’investimento di energie da parte della società esterna. Se questo si può fare attraverso uno strumento di fiction, ben venga. Purché non si alimentino gli stereotipi”.

Il carcere di Nisida

L’istituto di Nisida, dove si trovano ristretti sia ragazze che ragazzi, è collocato in cima a un isolotto e pertanto è isolato dal contesto urbano. […] L’istituto penale di Nisida è isolato dal contesto urbano. Lo è al di là del senso figurato del termine: si trova in cima a un isolotto. È difficilmente raggiungibile con i mezzi pubblici. In macchina, dalla stazione di Napoli, ci si arriva in circa 40 minuti”. Un luogo, come quello della fiction, in cui appunto “ce sta ‘o mar’ for’”, come nella sigla della serie.

È questa la descrizione dell’Ipm di Nisida come luogo in sé, una descrizione che si può leggere sul sito Ragazzi Dentro dell’associazione Antigone, la cui attività viene svolta “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”. Al 31 dicembre 2023, stando ai dati provvisori del Ministero della Giustizia, l’istituto ospitava 51 detenuti, 1 nella fascia 14-15 anni, 20 nella fascia 16-17, 26 nella fascia 18-20 e 4 nella fascia 21-24. I posti a disposizione sono 70, per cui per questo, come per tutti gli Ipm in Italia, non si può certo parlare di sovraffollamento.

Istruzione, formazione professionale

Un incontro nell'Ipm di Nisida con i calciatori del Napoli in epoca pre-pandemia
Un incontro nell’Ipm di Nisida con i calciatori del Napoli in epoca pre-pandemia

Ma la realtà è come la propone la fiction? In parte sì. Per esempio dal punto di vista dell’istruzione e della formazione professionale: i “ragazzi dentro” frequentano dei corsi, ma non sono gli stessi per tutti gli istituti minorili. “In tutti gli Ipm c’è anche la scuola – chiarisce Marietti – I corsi attivati non dipendono dall’istituto, ma dall’utenza che c’è in un determinato momento. Fortunatamente la presenza media in Ipm non è mai troppo lunga, se guardiamo alla media italiana: i ragazzi non restano moltissimo in istituto, a parte eventuali singoli casi, in cui la detenzione dura anni”.

Ma per molti, l’Ipm arriva in ultima istanza. “Di solito si cerca di trovare soluzioni alternative, non appena la sentenza diventa definitiva, si cerca di accedere all’area dell’esecuzione penale esterna, ma anche in fase cautelare. Il codice di procedura penale minorile lascia al giudice moltissime possibilità alternative di misure cautelari e quindi spesso, se non si partecipa a corsi scolastici, è perché si deve stare poco. Ma sarebbe importante trovare soluzioni per inserire tutti nei processi di istruzione”.

Il discorso è più complesso quando si tratta di formazione professionale. “La formazione professionale negli Ipm è un po’ più problematica, come nelle carceri per adulti: la formazione è regionalizzata, per cui dipende da regione a regione. Generalmente la formazione ufficiale, quella che dà i crediti non è presentissima. Ci sono singoli corsi, alcuni non danno crediti ma in compenso insegnano un mestiere, ma tutto dipende dalla capacità di creare occasioni due raccordo e di lavoro con il mondo imprenditoriale esterno, oltre che dalla voglia del territorio di investire nell’Ipm. Certo, si potrebbe fare molto di più”.

La prevenzione

A febbraio 2024 Antigone pubblicherà il nuovo rapporto biennale sulla giustizia minorile, anche se alcuni dati possono essere evinti appunto da quello che scrive il Ministero. Per esempio sulla ragione per cui questi giovanissimi si trovino negli istituti minorili.

In tutti gli Ipm italiani nel 2023 la maggior parte dei minori detenuti aveva commesso reati contro il patrimonio (544 su 1162 detenuti minori in totale in Italia), seguiti da reati contro la persona (271, in gran parte lesioni personali volontarie), contro l’incolumità pubblica (179, in massima parte reati legati agli stupefacenti). Non mancano tuttavia reati contro l’ordine pubblico o contro la famiglia.

Ma la grande domanda è se, almeno per i minori, ci può essere la prevenzione. “La prevenzione della criminalità minorile rientra nel discorso più complesso e generale che vale anche per il fenomeno tra gli adulti. Nello specifico non si può fare nulla, se non cambiare mentalità, ovvero non pensare che i problemi si risolvano con gli strumenti della repressione penale a valle. Bisogna andare a monte, creare politiche del lavoro, dell’housing sociale e sanitarie – basti pensare a tutti i ragazzi tossicodipendenti. Bisogna ripensare la società su un modello che non sia escludente, che non lasci indietro nessuno, affinché nessuno finisca all’interno della manovalanza criminale. Non c’’è una ricetta pronta, c’è un modello di società diverso”.

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