Gerusalemme La richiesta di Antonio Guterres, il segretario delle Nazioni Unite di riprendere a finanziare l’Unrwa mentre si allarga anche alla Francia il numero dei Paesi che hanno bloccato i finanziamenti dopo la (ancora) sospetta partecipazione al massacro del 7 ottobre di 12 dei suoi membri, secondo l’ambasciatore all’Onu di Israele Gilad Erdan rivela di nuovo che per il capo dell’organizzazione internazionale «la vita e la sicurezza dei cittadini israeliani non contano» perché prima di chiedere di continuare a finanziare l’Unrwa dovrebbe occuparsi di «un’indagine complessiva per localizzare i terroristi e gli assassini di Hamas dentro l’Unrwa». Ma ormai la questione della natura dell’Unrwa è aperta: oltre alla questione dei dodici terroristi, quella che viene alla ribalta è la domanda più vasta su una potentissima organizzazione che si occupa di più di cinque milioni di persone in molti Paesi, definiti «profughi» secondo una definizione che differisce da quella di chiunque altro nella stessa condizione. Era un dibattito sotto traccia da decenni, sull’uso del largo sostegno dell’organizzazione per aiutare il terrorismo palestinese e in particolare Hamas, e sulla sua generale impostazione nel sostegno e nell’educazione dei bambini palestinesi.
La più recente e semplice delle prove è il larghissimo, esplicito, entusiasta supporto del 7 ottobre dimostrato nel gruppo Telegram di 3000 membri dell’Unrwa, impiegati e insegnanti, che celebrano la «nukba» fra immagini del massacro da loro postate, mentre nel contempo chiedono anche quando verranno pagati gli stipendi. Lo staff dell’Unrwa condivide foto e video e prega per il successo dei terroristi e per la distruzione di Israele ( Isra Abu Karim Mezher: «Dio è grande, è finito il tempo di Israele»; Yaser fotografato davanti alla lavagna della classe; «Oh quanto odio gli ebrei»; Shatha Husam al Nawajha: «Che Dio li protegga e diriga il loro braccio» etc), e si entusiasma per le uccisioni e le torture.
Questo accade certo in violazione delle norme di neutralità dell’Onu; ma la norma è sempre istituzionalmente violata dal tipo di educazione data nelle organizzazioni della scuola se si guardano i libri di testo, o l’addobbo dei muri: è tutta un’esaltazione dei terroristi di ieri e di oggi, dello Shaid, del martire, dell’eliminazione degli ebrei e di Israele. Cosi nelle interviste presso strutture dell’Unrwa per esempio nel campo profughi di Askar presso Nablus, West Bank Cisgiordania, i bambini anche piccolissimi, parlano delle loro speranze, cioè vogliono essere shahid, uccidere gli ebrei, snocciolano tutti i nomi dei terroristi loro eroi. Durante la guerra sono state scoperte sotto le strutture dell’Unrwa cumuli di missili e armi. Più alla radice del problema, l’Unrwa è un’organizzazione unica rispetto a chi si occupa all’Onu dei circa 26 milioni di rifugiati: l’Unhcr. L’Unrwa è finanziata a parte per più di un miliardo e mezzo di dollari, secondo David Bedein, un esperto del campo, e ha 30mila impiegati. I profughi sono diversi da quelli affidati all’Unhcr: per i palestinesi non c’è politica di assorbimento, o ricollocamento; generazione dopo generazione si resta «profugo» e si perpetua lo scontro, perché: «Il profugo è una persona che viveva in Palestina fra il giugno del 1946 al 15 maggio del 1948 e che vi ha perso i mezzi di sussistenza in seguito al conflitto del 1948» e i suoi discendenti. Il lettore sa che mentre Israele accettò la partizione dell’Onu, gli stati arabi attaccarono, e invitarono gli arabi residenti ad allontanarsi con la promessa di riportarli a casa. Quel che è certo è che si crearono 700mila profughi contro i 7-800mila profughi ebrei dai Paesi arabi, e che mai chiesero di perpetuare il loro status. Invece qui l’Unrwa ha il mandato politico di perpetuare lo stato di rifugiato: nel 1965 fu inclusa la terza generazione e di nuovo nell’82 fu allargato. Perpetuare l’idea del «ritorno» per tre quattro generazioni è ciò che rende impossibile la pace, e spinge l’idea che la vera casa sia oltre il confine. Dunque, per chiudere il capitolo Unrwa-Hamas, occorre che l’Onu accetti la questione.