Correva l’anno 1961, e nel periodico aconfessionale The Critic veniva pubblicato un racconto inedito della scrittrice statunitense Flannery O’ Connor, intitolato, con forte valenza simbolica, La festa delle azalee. In esso, la narratrice cattolica descriveva la caparbietà del ventitreenne Calhoun Singleton, irriducibile oppositore di un mondo fatto solo di banali evidenze, e per questo tanto inviso agli abitanti della città di Partridge quanto graziato da Dio con il dono della tensione etica, presupposto fondante per vivere una vita all’insegna di quell’amore per la verità, da sempre rappresentato con i fiori delle azalee, dai colori semplici e nitidi. Grazie alla scrittura rabdomantica che le era propria, capace di sondare le angosce del nostro presente e di trovare nell’umanesimo cristiano la via maestra da percorrere, sarebbe riduttivo indicare nell’oriunda irlandese O’ Connor, vissuta tra il 1925 e il 1964 nel Sud-Est degli Stati Uniti d’America, una semplice autrice di opere letterarie, nelle quali il vissuto quotidiano si intreccia con l’attingimento dal magistero della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Le sue creazioni spirituali e intellettuali rientrano in quella corona, sempre aperta e in continua espansione, che annovera il lascito di pensatori, artisti, uomini e donne d’ingegno nonché l’esempio dei silenziosi eroi del quotidiano, come quei volontari che ogni giorno animano le mense per i poveri, i corsi di catechismo nelle parrocchie di periferie-frontiere e le corsie degli ospedali.
Del tutto estraneo alle forme irregimentanti della contemporaneità, vedasi il partito o il sindacato, il conservatorismo cattolico è da considerare più un modo di pensare e di vivere, abbracciato da milioni di credenti, altrimenti detti spiriti liberi, che non un gruppo gerarchizzato con tanto di statuti, incarichi e relative prebende. Dalla «conservazione e governo delle creature» (leggi sviluppo sostenibile) postulata nel 1266 da Tommaso d’Aquino nella «Summa Theologiae» alle sferzanti reprimende di Tolkien, formulate nel 1956 contro il «Dio-Stato», la nuova riedizione del «Regno di Sauron» che in nome del collettivismo pretendeva di trasformare l’individuo in una marionetta del «Maresciallo Questo o Quello»: il profilo di quanti si riconoscono nelle linee ispiratrici del cattolicesimo senza accettare supinamente la realtà del momento in quanto l’unica possibile, è andato espandendosi nell’avvicendamento delle generazioni. Sulla scia inaugurata da John Milton nel 1667, siamo forse in presenza dell’ennesimo stuolo di utopisti, pronti a rimpiangere quel «Paradiso perduto» dal quale siamo stati cacciati dopo il tradimento di Adamo ed Eva? La lettura della Bibbia, come insegna Sant’Agostino nel De Doctrina Christiana, non è mai da prendere alla lettera ed è sempre da rielaborare criticamente.
Il battesimo del fuoco investì i cattolici conservatori nel 1789: le penne di Edmund Burke, Joseph de Maistre e Louis de Bonald denunciavano l’immane spargimento di sangue portato dalla Rivoluzione Francese. Tuttavia la ghigliottina non fermerà, nei secoli a venire, la volontà di edificare una società seria e ordinata, a misura del rapporto tra Dio e l’uomo, basata su quell’amore per il prossimo che non ha nulla da spartire con le ideologie di egualitarismo forzoso e di annullamento delle differenze tra uomo e donna, oggi strombazzate come l’ultima barriera da abbattere in nome del gender fluid e della cultura woke.
«L’Occidente non è più di moda», lamenta a ragion veduta il sociologo Rodney Stark, ricordando altresì come proprio il cattolicesimo sia stato alla base di quella «vittoria della ragione» che dal Medioevo ad oggi ha prodotto, di certo non in maniera indolore, «libertà, progresso e ricchezza». Riesce a trasmettere senso di ammirazione la fondazione di un’università denominata «La Sapienza», voluta da Papa Bonifacio VIII nel 1303? Quanti di noi inforcano un paio di occhiali da vista senza attribuire la paternità di questa invenzione al frate domenicano Alessandro della Spina intorno al 1290? Prima dei «Poveri Cavalieri del Cristo» l’inesistente alternativa ad una lettera di cambio, la geniale invenzione del 13° secolo che mise in moto il primo commercio globale, equivaleva ad essere accoltellati dai briganti. Il fronte di sofferenza per il conservatorismo cattolico è rappresentato, oggi più di ieri, dalla rifrazione mediatica, subita senza vedere adeguatamente rappresentato il proprio operato. Conservatorismo cattolico? Com’è possibile che la sola denominazione talora evochi roba da vecchie zie «dalla mascella quadrata e con i capelli bianco cadavere tirati indietro sulla testa», come satireggiava Flannery nei suoi racconti?
La ricerca della beatitudine parte dalla ripresa, nel nostro irrisolto presente, di tutti quegli insegnamenti ereditati in oltre duemila anni di umanesimo cristiano. «La vita umana è in realtà una cosa più seria e sobria e sta in tutt’altre mani che le nostre». Dal 1934, l’ammonimento del teologo Karl Barth non ha perso la sua lancinante attualità. Dalla follia dell’eugenetica a quella del suicidio assistito, l’utopia delirante di un consorzio umano che si sostituisce in tutto e per tutto a Dio per eliminare ogni imperfezione dai suoi ranghi’, al fine di creare una nuova società, autoproclamatisi sana e perfetta, non conosce battute d’arresto.