Anche la poca terra rimasta sotto le fondamenta sta franando e stavolta per Evergrande potrebbe essere davvero la fine. La decisione con cui l’Alta Corte di Hong Kong ha disposto ieri la messa in liquidazione dell’ex colosso immobiliare cinese, suona infatti come una sentenza di morte. Resta appena acceso un lumino di speranza, quel ricorso in appello già messo in canna da un gruppo che annaspa sotto l’onda di debiti per oltre 300 miliardi di dollari.
È la mossa disperata per evitare di scomparire. I primi a non crederci più sono però gli azionisti. Finora avevano tenuto duro: ieri hanno preferito farsi da parte anche a costo di svendere i titoli, collassati fino al 21% prima che dalle autorità di Borsa arrivasse lo stop alle contrattazioni. Un duro colpo anche per Pechino che sta cercando di domare i singulti della Borsa amplificati dalla diserzione di massa degli investitori stranieri, anche con misure non proprio improntate al libero mercato come il divieto di vendere allo scoperto. Ma il capolinea verso cui sembra diretta Evergrande rischia soprattutto di vanificare gli sforzi con cui la People’s Bank of China e il ministero delle Finanze hanno annunciato la scorsa settimana l’intenzione di irrorare di liquidità gli sviluppatori immobiliari.
La crisi dell’ex colosso di Shenzen, in default da un paio d’anni, è del resto solo la punta dell’iceberg della gigantesca bolla gonfiatasi attorno al mattone, in un fiorire continuo di progetti messi in piedi a suon di debiti e sorretti dalla (falsa) certezza che le vendita degli appartamenti avrebbe rimesso i bilanci in ordine. L’infarto al Pil causato dal Covid prima e poi la fiacca ripresa post-pandemia, dove deflazione e disoccupazione si saldano allo stentato andamento di export e import, hanno invece presentato un conto salatissimo. Di fatto, il sogno cinese basato su un nuovo modello urbanistico si è trasformato nell’incubo delle “città-zombie”, il cui aspetto spettrale è dato dai 7,2 milioni di case invendute e dagli innumerevoli palazzi costruiti a metà.
Resta ora da capire che fine faranno i più di 1.200 progetti di costruzione targati Evergrande. In teoria, il dispositivo della sentenza non ne impedisce la prosecuzione. E, almeno finora, il governo ha salvaguardato il completamento dei progetti per evitare guai peggiori. Il problema potrebbe essere semmai la liquidità rimasta nelle casse del gruppo, anche se la sorte peggiore dovrebbe toccare ai creditori. A dare il colpo di grazia alle residue speranze di un peraltro improbabile “happy end”, e causa della messa in liquidazione, è stato proprio il fallimento della maratona negoziale sulla ristrutturazione del debito offshore. Valore, 23 miliardi di dollari.
Tasso di recupero stimato dagli stessi creditori, attorno al 3%. Briciole. Anche perchè il liquidatore nominato, quell’Alvarez&Marsal che nel proprio curriculum ha la gestione del “fine vita” di Lehman Brothers, avrà verosimilmente mano libera solo sugli asset al di fuori della Cina, percentuale marginale rispetto ai cespiti nell’ex Impero Celeste. I precedenti non sono infatti incoraggianti: appena il 20% dei giudici cinesi ha finora riconosciuto come legittime le sentenze emesse a Hong Kong.