Rubando ad un poeta giapponese del ‘600 ecco la sensazione provata vedendo Sinner vincere l’Australian Open di tennis: sul giardino d’inverno ecco la chioma fine della luna rossa.
Dalle notti magiche al risveglio nella nebbia, prima di rivedere il sole lasciando sole le nostre leonesse dello sci.
Le giornate storiche dello sport italiano, belle come quelle dei mondiali vinti nel calcio, fantastiche come quelle delle Olimpiadi imbavagliate di Tokyo o, ancora prima, a Mosca nel 1980 con Mennea e Sara Simeoni sul podio.
Col tennis ci eravamo già rifatti tornando a vincere la coppa Davis, avendo Sinner come capo cordata, con questo sciatore che cercando la libertà di scelta, merito di genitori che non assillano e lasciano liberi come ha detto lui alzando la coppa, aveva invece preferito la dura scuola tennistica del professor Piatti in Liguria, prima di immergersi in un lago tecnico più profondo che a Melbourne sembrava un mare di stelle.
Quarantotto anni dopo il successo di Panatta a Parigi dove Pietrangeli aveva vinto due volte fra il 1959 e il 1960, l’anno magico di Berruti a Roma oro dei 200 dell’Olimpiade, ecco il capolavoro in rimonta del ragazzo di Sesto Pusteria così diverso da quei campioni della scuola italiana. Dopo Djokovic che a Melbourne vinse a 20 anni ecco il Rosso capace di saltare i paletti della diffidenza, come faceva sugli sci, con questa coppa conquistata a 22 anni e 165 giorni. Capolavoro difficile da paragonare alla dolcezza dei colpi di Pietrangeli, al genio di Panatta, ma in Sinner abbiamo trovato qualcosa che ci mancava: il campione che sembra normale, ma nelle fibre di seta ha qualcosa di speciale. La testa oltre al talento. Non eravamo più abituati. Nuova generazione che oggi può diventare ricca come nessuno dei campioni che lo hanno preceduto visto che a Montecarlo, dove ha la sua residenza, verserà in banca un premio di quasi 2 milioni in euro.
Mondi diversi, campioni veri, ma è difficile oggi avvicinare Sinner a chi era diventato grande in epoche diverse, ai due italiani che con la Schiavone, Parigi 2010, e la Pennetta open americano del 2015, ci avevano dato gli unici Slam della storia.
Vincere rimontando, cacciando dalla mente il diavolo che ti prende se vai sotto e cadi nella ragnatela di Medvedev. Avevamo bisogno di un campione dello sport capace di reagire senza mandolino e sceneggiate. Il campione che ha vinto a Melbourne non assomiglia a Pietrangeli ed è molto diverso da Panatta anche se sotto i riflettori della premiazione sembrava a suo agio, bello, sincero, semplice, ma determinato.
Fare paragoni fra campioni di epoche diverse è sempre sbagliato. Quelli di ieri erano artisti, quelli di oggi professionisti che sfidano il demone dello sport individuale dovendo nascondere le loro debolezze. Un milione di spettatori a Melbourne, mondovisione oggi, miliardi per i campioni di questa epoca, premi, corone, ma niente di paragonabile per quelli che, da Gardini a Cucelli e poi alla squadra dorata della nostra Davis vinta in Cile, hanno certo fatto la bella storia del tennis italiano.
Sinner è in una galassia diversa. Ci eravamo spaventati quando lasciò il suo mentore Patti, un po’ quello che era accaduto quando Tamberi aveva smesso di parlare con suo padre che pure lo aveva portato all’oro olimpico, ma poi ci diede il mondiale nel salto in alto. La stessa preoccupazione che oggi abbiamo per Jacobs in Florida dopo tanti anni col Camossi che lo aveva portato all’oro olimpico.
Tempi nuovi, allenamenti diversi, strategie tecniche che fanno fare il salto di qualità.
Abbiamo amato Pietrangeli e la sua gioia di vivere, abbiamo ammirato Panatta sul campo, terra rossa, come è successo con Bertolucci per quello che hanno fatto dopo il tennis, ma questo Sinner è davvero qualcosa di nuovo. Uno che non recita, che non perde il controllo e sa cosa vuol dire soffrire.
Come è bello far l’amore con i campioni da Roma in su, fino all’Alto Adige e sembra che il ragazzo di Sesto Pusteria oggi sia più simile al Gustavo Thoeni della valanga azzurra, che in questi giorni celebra le grandi imprese di quella squadra di sciatori, piuttosto che ai tennisti meravigliosi che lo hanno preceduto.
Speriamo resti così perché davanti ha una strada che non è quella dei premi milionari, ma una pista dorata che speriamo lo porti anche verso Parigi, perché l’oro olimpico sarebbe qualcosa di speciale e per questo faremo il tifo come nella mattinata australiana, in quelle quattro ore di fatica dove tutto sembrava perduto, ma dove tutto è stato conquistato senza mandolino, soltanto guardando in faccia l’avversario e la fatica.