– Elena Bonetti ed Ettore Rosato lasciano Italia Viva di Renzi e approdano in Azione di Carlo Calenda. In questa frase ci sono più o meno anche tutti gli elettori dei due partiti, così simili eppure incapaci di stare assieme per antipatie personali. Il travaso di dirigenti non sposterà di una virgola il peso complessivo del centro.
– Guido Crosetto torna a ripetere che in Italia serve una forza di riservisti. Ha ragione, ma ho qualche dubbio che riusciremo a realizzarla in un Paese che considera l’esercito una sorta di corpo estraneo.
– Sapete perché il Pd non vincerà mai? Perché tra le priorità di Elly Schlein c’è quella di organizzare un sit in per la Rai. Per la Rai e per Repubblica, vi rendete conto? Giustamente Giuseppe Conte le ha dato buca (mica scemo). E anche Calenda le ha risposto marameo. Ma cosa volete che interessi alla gente se Elly va in piazza, nella settimana di Sanremo, per difendere “la libertà di Stampa” non si sa bene nemmeno da cosa? Schlein ha l’innata capacità di scegliere le battaglie sbagliate e combatterle nei modi peggiori possibili. Sembra quasi stia dicendo: “Mi voglio cestinare da sola”.
– Il pregio maggiore di Sinner è uno, quello per cui tutti lo crocifiggevano fino all’altro ieri: come ogni tennista che si rispetti, risiede a Montecarlo e lì paga le tasse. Più che criticarlo andrebbe invidiato. Beato Jannik.
– Ieri abbiamo celebrato le parole di Sinner verso i genitori e la piccola lezione sull’importanza di lasciare libertà di scelta ai ragazzi sul loro futuro. Però oggi a leggere i giornali viene l’orchite: Jannik fa felice l’Italia, ma ha vinto per se stesso. Come è giusto che sia.
– Il caso di Ilaria Salis è orripilante. Inutile giraci attorno: un detenuto, sia esso di destra o di sinistra, va trattato con tutti i crismi. Sul perché la tengano in carcere in attesa di processo per violenza non mi pronuncio, visto che le leggi di ogni Stato sono sovrane e non le conosco a fondo. Però due cose si possono affermare. La prima è che l’ambasciata ungherese avrebbe dovuto forse assicurarsi una maggiore assistenza a una detenuta italiana all’estero. O almeno aiutare la sua famiglia. La seconda questione è questa: se ci siamo adoperati con l’Egitto per far liberare Patrick Zaki, che italiano non è, forse qualcosina in più per la Salis sarebbe corretto farlo.
– Nel grande dibattito sul fine vita, bisognerebbe dare ascolto non solo a Marco Cappato&co ma anche a papà Giampaolo e sua moglie, genitori di Alessandro, morto sabato dopo 37 anni vissuti in stato vegetativo. “Non giudico chi la pensa diversamente – dice Giampaolo – Personalmente, credo invece nel libero arbitrio, nella possibilità che le nostre scelte incidano su ciò che siamo. Ecco, quel giorno in ospedale e in tutti i giorni che sono seguiti, io e mia moglie abbiamo scelto di proteggerlo. Ne è valsa la pena”. Dibattere sull’eutanasia in una rubrica come questa sarebbe sciocco, perché troppo breve. Ma questo racconto andrebbe girato al Pd veneto e pure a Elly Schlein, per far comprendere loro come la libertà di coscienza della loro consigliere Anna Maria Bigon si fonda su un convincimento – discutibile o meno – ma comunque sacrosanto. Se è legittimo chiedere una norma chiara sul fine vita, lo è anche difendere l’obiezione di coscienza o di “morire con le cure palliative”.
– Piccolo spazio Fleximan. Il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, pone ai lettori una domanda retorica: “Se ci sono i limiti di velocità e uno strumento segnala il mancato rispetto, di chi è la colpa?”. Non dell’autovelox, sostiene, ma di chi corre troppo. Vero, in alcuni casi. Ma non sempre. Perché forse Fontana dimentica che in Italia i limiti di velocità sono un miscuglio di irragionevolezza e follia. Si passa da 50 a 70 a 90 nel giro di 50 metri e in tante strade sono inadeguati o troppo bassi.
– Il carabiniere ha sbagliato. Punto. Quando indossi la divisa certe affermazioni (“Mattarella non è il mio presidente”) non te le puoi permettere. Fine. Inutile cercare scuse. Ma se domani leggo anche un solo editoriale in cui si dà la colpa di quelle frasi al governo Meloni o alla riforma del premierato, giuro, cambio mestiere.
– Jannik Sinner in un’intervista ha rivelato di non volerci andare (“devo pensare al tennis, io”, ha detto) mentre Amadeus se lo coccola nella speranza di avere sul palco la star reduce dai recenti successi in Coppa Davis e agli Australian Open. Certo: da un lato forse gli sponsor ne richiedono la massima visibilità ed è comprensibile. Però di fronte al dilemma vado-non-vado, ci permettiamo di fornire un piccolo consiglio a Sinner. Meglio evitare. E per capirlo basta guardare alla statistica: Berrettini è salito sul palco e da quel giorno naviga tra gli infortuni; Paola Egonu ha fatto lo stesso e la sua popolarità è crollata, con annessi guai con la nazionale; Chiara Ferragni manco a dirlo, in pochi mesi è caduta dalle stelle alle stalle a suon di pandori. Insomma: se a Jannik serve una scusa, provi a dire: cari sponsor, mi sa che Sanremo porta sfiga. Altrimenti può rinunciare ad una standing ovation di cui, tutto sommato, non ha bisogno. E magari concentrandosi sulla pallina eviterà di perdere se stesso dietro le autocelebrative sirene sanremesi.